Quali sono le cause dei fallimenti della fecondazione in vitro?

Prof. Luciano Nardo, MD MRCOG
, Consulente Ginecologo, Sub-specialista in Medicina Riproduttiva & Chirurgia, UK

Categoria:
Cicli di IVF falliti, Valutazione della fertilità

Luciano-Nardo-cause-fallimenti-webinar
Da questo video puoi scoprire:
  • Come sono definiti i “fattori ripetuti” nei fallimenti della gravidanza?
  • Quali dinamiche influenzano le percentuali di successo?
  • Quali test possono essere eseguiti per valutare le possibili cause del fallimento?
  • Qual’è la classificazione delle cause?
  • Perché è importante la correlazione tra l’età della donna e l’aneuploidia degli ovociti?

Cosa fare per abbattere la possibilità di una procedura FIVET fallita?

In questa sessione il Prof. Luciano Nardo, MD MRCOG, Consulente Ginecologo, Sub-specialista in Medicina Riproduttiva & Chirurgia, introduce le possibili cause di fallimento di una FIVET ed i relativi test che possono essere eseguiti per identificarle.

COSA SONO I FALLIMENTI RIPETUTI

I cardini sui quali basa la definizione del fallimento di trattamenti ripetuti possono essere ritenuti i seguenti: il numero di trattamenti iniziati e che si sono completati, il numero di trattamenti che hanno raggiunto il trasferimento degli embrioni, lo stadio di sviluppo degli embrioni nonché lo stadio in cui il trattamento è stato cancellato. E’ importante sapere a quale stadio il trattamento è terminato, prima di determinare se quel trattamento sarebbe potuto andare in porto e se si sarebbe potuto completare con successo; nella clinica del Dottor Nardo’ si lavora su due stadi, uno in cui si valuta quello che è accaduto nei trattamenti effettuati precedentemente ed uno in cui viene valutata la storia clinica della paziente. Gli altri fattori da prendere in considerazione quando si definiscono i fallimenti ripetuti, riguardano la storia delle precedenti gravidanze, la coesistenza di particolari condizioni mediche e la scelta di utilizzare gameti propri o da donatori, questo perché il fallimento di un trattamento può essere determinato sia da cause inerenti al trattamento stesso, sia da altre cause che possono essere preesistenti nei pazienti.

 

PERCENTUALI DI SUCCESSO

Le percentuali di successo sono influenzate fortemente dall’età della donna e dalla qualità degli ovociti, con l’aumento dell’età materna si può vedere come aumentino da un lato le aneuploidie, ovvero le anomalie genetiche presenti all’interno degli ovociti, il rischio di aborti e contemporaneamente diminuiscano le percentuali di successo, ecco perchè è sempre importante prendere inconsiderazione l’età della paziente quando si valuta la possibilità di fallimenti.

 

CAUSALITA’ VERSUS CASUALITA’

Quando si valutano le cause che possono determinare il fallimento di un trattamento, è necessario tenere in considerazione se esiste un rapporto di causalità o di casualità; quando ci riferiamo alla causalità, è necessario valutare se l’esito negativo è probabile come nel caso ad esempio in cui l’età della paziente sia superiore ai 36 /37 anni o se è inaspettato ad esempio per donne molto più giovani, si deve valutare se l’esito ha una ricorrenza superiore al 50% o meno, è necessario valutare se esistono delle patologie all’interno dell’utero che può abbassare la percentuale di impianto, ed infine se la causa alla base del fallimento è diagnosticabile o meno e a questo scopo esistono una serie di test che possono essere effettuati per valutare ed eventualmente eliminare le possibili cause di fallimento. Nella slide mostrata è visibile come con l’aumentare dell’età della donna, oltre ad un aumento delle alterazioni cromosomiche degli ovociti, fisiologicamente le percentuali di successo declinano perché la fertilità e l’abilità di concepire diminuiscono.

 

CLASSIFICAZIONE – CAUSE 

Una volta valutata la relazione tra l’età materna e la percentuale di impianto, non possiamo solo dedurre che la qualità degli ovociti o le aneuploidie degli stessi siano responsabili dei fallimenti, nel momento in cui gli embrioni scelti risultano geneticamente normali (parliamo di embrioni che sono stati sottoposti a test genetici) le percentuali di impianto sono le stesse al variare dell’età della paziente, la diagnosi genetica preimpanto quindi permette di ridurre il fattore materno come causa dei ripetuti fallimenti. Esistono problematiche relative agli spermatozoi ad esempio che hanno un impatto sulla qualità degli embrioni, esistono delle patologie genetiche che possono essere presenti nell’uomo o nella donna e che possono avere un’influenza sulla qualità embrionale, esistono cause immunitarie che influenzano la capacità dell’embrione di impiantarsi in maniera corretta nella cavità uterina, e ancora, esistono delle patologie ematiche come la trombofilia che sono responsabili per la formazione di coaguli e hanno un impatto sulla capacita dell’embrione di attecchire, patologie endometriali come infezioni o alterazioni della finestra di impianto che possono essere anch’esse di impedimento all’attecchimento e ancora patologie uterine come fibromi polipi o aderenze, patologie uterine congenite come ad esempio l’utero setto che possono ridurre l’impianto ed anche patologie tubariche come l’idrosalpinge a causa delle quali un fluido tossico dall’interno della tuba raggiunge l’utero ed ha un effetto negativo sull’ecosistema endometriale. Ci sono poi anche cause embrionarie in cui nonostante la perfezione di ovociti e spermatozoi e nonostante tutto il resto sia compatibilmente normale, l’embrione non riesce comunque a raggiungere lo stadio di sviluppo necessario all’impianto. Le possibili cause del fallimento sono quindi varie e non solo attribuibili a ovociti o spermatozoi, talvolta vanno oltre gli aspetti ginecologici, cause immunitarie o cause ematiche ad esempio possono essere responsabili di una o più anomali già presenti nella paziente che dovrà portare avanti la gravidanza, alcune pazienti infatti possono avere patologie che al momento della fecondazione in vitro possono essere di impedimento all’impianto, ma se l’impianto avviene possono aumentare il rischio di patologie nel corso della gravidanza, in alcuni casi infatti pare che i medesimi fattori di rischio siano responsabili per problemi in fase di impianto ma anche nei tre trimestri di gravidanza, per questo il Dottore suggerisce a chi ha problemi di ripetuti fallimenti di sottoporsi ad accertamenti prima del concepimento per essere sicuri che nel caso fossero presenti fattori di rischio, questi non compromettano l’esito della gravidanza.

QUANDO INIZARE AD INVESTIGARE. 

La valutazione delle caratteristiche della donna e dell’uomo a volte è fatta troppo tardi, ed è importante, quando siamo di fronte a donne single fare le valutazioni anche del corredo genetico del donatore. Una cosa importante è non considerare il fallimento in maniera isolata, se ad esempio una paziente di 38 anni ha già avuto uno o due trattamenti con esito negativo, non sarà necessario attendere il terzo trattamento prima di iniziare i test, cosa diversa per pazienti più giovani che potrebbero attendere anche oltre il terzo tentativo, l’inizio quindi del protocollo diagnostico relativo alla mancanza di successi nei cicli precedenti è essenzialmente un percorso ad personam, basato sull’anamnesi che può permettere allo specialista di definire il momento più adeguato per l’inizio dei test.  

QUALI NVESTIGAZIONI FARE.

Innanzitutto è bene precisare che definire una persona normale da un punto di vista della fertilità non è sempre semplice perché quando si parla di infertilità o sub-fertilità inspiegate o senza alcuna causa e le pazienti vanno per questo incontro a trattamenti di fecondazione in vitro, è possibile oggi assicurarsi che non esistano cause sottostanti, solo nel momento in cui tutti i test sono stati eseguiti sia nell’uomo che nella donna. I test effettuabili sono diversi, il test del DNA spermatico che non è un semplice esame del liquido seminale che dà informazioni circa il numero e la qualità degli spermatozoi, ma un’indagine più approfondita che fornisce informazioni in merito alla presenza o meno di un danno a livello del dna degli spermatozoi, che potrebbe essere alla base della mancata formazione di embrioni geneticamente normali o di un arresto nello sviluppo degli stessi ad un determinato stadio, un altro test è quello alla base della valutazione ovarica ovvero la misurazione del valore dell’AMH, un ormone chiamato antimuleriano e che fornisce informazioni molto più specifiche rispetto all’FSH e LH , in quanto prodotto direttamente dalle cellule della granulosa all’interno delle ovaie, le stesse cellule che avvolgono gli ovociti ed è per questo che un valore molto basso di AMH, correla con una riduzione del numero di ovociti (anche se non è sempre lineare questa correlazione), si valuta il cariotipo del paziente, noto anche come mappa genetica, perché potrebbero essere presenti delle malattie genetiche che potrebbero essere responsabili di una serie di patologie a cascata che influenzano la sfera riproduttiva e non solo ( questo esame è consigliato dal dottore sicuramente in casi di aborti ripetuti o di fallimenti per mancanza di embrioni di buona qualità o che risultano con problematiche dopo la diagnosi genetica) importante è inoltre il test della trombofilia che permette di escludere o eventualmente se presenti trattare, le possibili patologie ematiche responsabili per il mancato impianto; ancora lo studio dell’ecosistema o ambiente endometriale, per valutare la presenza di infezioni che potrebbero essere silenti ma presenti all’interno dell’utero e che come un ambiente endometriale non ben sviluppato nonostante l’utilizzo di estrogeni e progesterone possono non favorire  l’attecchimento, tali esami sono utili perché permettono di valutare a 360 gradi l’effettiva possibilità d’impianto senza basarsi solo sull’anamnesi iniziale, anche l’anatomia endometriale è importante da valutare e ciò è possibile avvalendosi di esami come l’isteroscopia o l’ecografia transvaginale e ancora la risonanza magnetica, esami che permettono di valutare l’anatomia dell’utero ed escludere così l’eventuale presenza di fibromi, aderenze o altre patologie congenite che potrebbero causare un fallimento dell’attecchimento. E’ importante valutare la qualità embrionale perché l’obbiettivo non è creare un embrione, ma essere sicuri che questo si sviluppi in maniera progressiva, raggiunga lo stadio di blastocisti e possibilmente sia geneticamente normale ma ovviamente la prima cosa è essere sicuri che quell’embrione sia di qualità adeguata per essere trasferito; se una coppia ad esempio avesse effettuato 5 trattamenti senza riuscire ad ottenere alcun trasferimento perché gli embrioni non sono risultati di buona qualità, o perché non si sono mai formati embrioni, non vale la pena indagare il sistema immunitario o la trombofilia perché la paziente non ha visto il verificarsi dell’attecchimento e quindi avrà maggior senso fare valutazioni a livello spermatico, a livello genetico e a livello ovocitario, per cercare di capire la causa del mancato formarsi degli embrioni, questo si collega all’ultimo tipo di test che è consigliabile effettuare ovvero quello relativo alla valutazione genetica dell’embrione che non sempre viene suggerito, ma al fine di avere un impianto che possa esitare in una gravidanza è necessario avere una capacità uterina adeguata ma anche una buona qualità embrionaria che deve riguardare non solo l’aspetto dell’embrione, la sua morfologia, ma anche il suo aspetto genetico.

CONCLUSIONI

Aver avuto dei trattamenti che non sono andati in porto con successo, è molto comune e per questo non si deve abbandonare la speranza di riuscita ma piuttosto cercare di capire quali sono le cause alla base del mancato esito positivo dei trattamenti, lavorando insieme allo specialista per capire quali test possono essere più adatti alla specifica situazione del paziente poiché oltre l’85% delle cause alla base del fallimento, hanno una soluzione clinica, vale quindi la pena sottoporsi ad eventuali test per ottenere informazioni importanti piuttosto che continuare ad effettuare trattamenti senza aver ben indagato quando siamo di fronte a pazienti con  precedenti fallimenti.

Cosa fare per abbattere la possibilità di una procedura FIVET fallita? - Questions and Answers

Salve dottore, lei opererebbe un utero a T con metroplastica isteroscopica? Ritiene che possa essere causa del mancato impianto di blastocisti (non testata) a 34 anni?

Sappiamo che le patologie uterine congenite possono essere causa sia di mancato attecchimento che di aborto spontaneo, ciò non significa ovviamente che tutte le donne che presentano un utero a T andranno incontro al verificarsi di questi eventi ma è certo che le percentuali, in questi soggetti sono più alte. La metroplastica isteroscopica è considerata il gold standard per operare un utero a T ovvero un utero setto. Ovviamente è importante che venga effettuata una valutazione isteroscopica prima di asserire che siamo di fronte ad un utero setto (o utero a T) inoltre, in taluni casi è importante che venga prescritta una terapia ormonale successivamente all’isteroscopia, in modo da facilitare lo sviluppo dell’utero, dell’endometrio, della cavità uterina. Nel caso specifico indicato dalla paziente, non essendo stata testata la blastocisti (non sappiamo inoltre se sia stata trasferita una o più blastocisti e se siamo di fronte ad uno o più trattamenti effettuati), non possiamo escludere che, anche in presenza di una condizione uterina normale, qualora la blastocisti non fosse stata normale, quest’ultima non si sarebbe impiantata. E’ importante tenere bene in considerazione nel caso in oggetto, che siamo di fronte ad una donna di 34 anni, quindi giovane e con una percentuale di circa il 75/80 % che la blastocisti sia normale, per cui, su una valutazione del bilanciamento delle probabilità è possibile che la patologia congenita dell’utero indicata, sia un fattore di rischio per il verificarsi del mancato impianto. Se dovessimo procedere con la chirurgia in ogni caso suggerirei di fare un’anamnesi più estesa poiché, se la paziente, prima di procedere con la fecondazione in vitro ha provato a concepire per 2 o 3 anni in maniera spontanea, è possibile che la patologia congenita dell’utero sia stata la causa del mancato successo anche di una gravidanza naturale poiché l’utero cui facciamo riferimento è il medesimo e l’embrione dovrà impiantarsi al suo interno sia che sia stato creato in laboratorio sia che si tratti di un embrione che si crea naturalmente all’interno delle tube e poi raggiunge l’utero, procederei per tanto con una valutazione dell’anamnesi e se si fosse giunti alla fecondazione in vitro dopo diversi anni di tentativi senza successo è probabile che quella patologia uterina sia la causa sia dell’infertilità che del fallimento dell’impianto.

Salve dottore, ho 40 anni ed ho effettuato 3 pick-up in strutture diverse, il primo ed il terzo transfer con esito positivo ma conclusisi purtroppo entrambi in aborti a 9 e 10 settimane, ma non all’interno della medesima struttura; il mio ultimo ginecologo parla di malformazioni embrionali, può effettivamente essere così o dipende dalla qualità degli ovociti? Ora ho 5 blastocisti congelate, dalle analisi non risulta nulla di anormale, solo un calcolo HOMA alto che non so se possa essere correlato agli aborti, lei cosa ne pensa?

Il calcolo HOMA di cui parla è un calcolo che non sempre viene utilizzato e non sempre viene associato ad aborti spontanei o a fallimenti dopo il trasferimento di embrioni. In questo caso è interessante capire quale sia la qualità degli embrioni trasferiti che immagino derivino da ovociti propri e non da ovodonazione; in linea generale, donne di 39 anni o più, hanno intorno al 70/75% di probabilità di avere aborti proprio in relazione alla qualità degli embrioni e lo specialista con il quale la paziente si è interfacciata è stato molto preciso ed intuitivo nel suggerire che è possibile che le malformazioni o la qualità degli embrioni, possano essere stati la causa del mancato successo (sia che questo si riscontri nel verificarsi di un aborto sia in un mancato impianto, una sorta di moneta a due facce dove su ogni lato abbiamo una di queste due possibili eventualità essendo, le cause che possono determinare l’una o l’altra le medesime). E’ possibile che le eventuale malformazione o comunque la qualità degli embrioni sia conseguenza della qualità degli ovociti? Si, assolutamente, esiste una stretta correlazione tra l’età cronologica, la qualità degli ovociti, l’aumento delle aneuploidie in questi ultimi e l’aumento del rischio di aborto spontaneo; donne con un’età superiore a 37 anni incorrono in tipo di questo rischio. Avendo la paziente 5 blastocisti congelate, che presumo non siano state testate, suggerirei di procedere con lo scongelamento, la biopsia e la diagnosi genetica preimpianto delle stesse per poi procedere con il trasferimento solo di quella che abbia la percentuale più alta di successo determinata proprio dalla normale conta dei cromosomi; In questo caso specifico è importante che la paziente intraprenda questo percorso per due motivi, in primo luogo perché la probabilità di successo diminuisce con l’aumentare dell’età cronologica , in secondo luogo perché il verificarsi di aborti, di per se ritarda l’inizio del nuovo ciclo e può comunque esporre l’utero a delle conseguenze.

Ho 44 anni e il mio utero è nella norma, crede che potrei ottenere una gravidanza con donazione di ovociti dal momento che sono in perimenopausa?

La risposta è si, è possibile; l’importante è che tutte le valutazioni siano state fatte attentamente e che sia stata effettuata almeno un’ecografia transvaginale tramite la quale si sia dimostrata una normale anatomia dell’utero. E’ importante poi chiarire a che cosa si faccia riferimento quando parliamo di utero nella norma, parliamo di quest’ultimo da un punto di vista anatomico o dell’ambiente endometriale al suo interno? Molte donne hanno un utero anatomicamente normale, ben sviluppato senza presenza di particolari patologie congenite, non abbiamo fibromi, polipi o aderenze, ma al contempo possono essere presenti problemi a livello endometriale, potremmo per esempio riscontrare la mancanza di lactobacilli, oppure potremmo essere di fronte ad un ambiente ostile all’impianto per la presenza di infezioni; solo attraverso test specifici possiamo avere la sicurezza che l’utero in oggetto sia veramente nella norma, per questo mi sento di suggerire alla paziente, qualora decida di procedere con il ciclo di ovodonazione, di assicurarsi prima di iniziare la procedura che, sia l’anatomia dell’utero che l’ambiente endometriale siano normali per evitare di sottoporsi a tale trattamento e scoprire solo dopo il primo , secondo o terzo tentativo l’esistenza di patologie che, se individuate e trattate inizialmente avrebbero potuto dare un esito completamente diverso, evitando un dispendio non solo economico ma anche psicologico ed emotivo.

Per il mio terzo FET (e con mutazione eterozigota MTFRH), mi è stato prescritto in aggiunta l’utilizzo di Clexane alla settimana prima del trasferimento; il mio ginecologo IVF consiglia 2000 unita/die, la mia Immunologa Riproduttica (ho anche uNK e linfociti alti evidenziati da biopsia endometriale), 4000 unità/die. Ho 35 anni peso 65 kg con un’altezza di 170 cm, non so chi seguire pur fidandomi di entrambi.

Parliamo di trasferimento di embrioni congelati in una paziente con una mutazione eterozigota a carico della MTFRH (Mutazioni di metilene tetraidrofolato reduttasi) che sembra, in alcuni casi, poter aumentare il rischio di coaguli e che corrisponde a quella che noi definiamo trombofilia genetica. Ciò che è importante sapere al riguardo è che la mutazione eterozigota, cioè presente in uno solo dei due bracci dei cromosomi (mentre in caso di mutazione omozigota abbiamo la mutazione presente su entrambi i bracci dei cromosomi), è molto comune nelle donne soprattutto in Europa con una percentuale pari al 40/50% dei soggetti, ed ha sicuramente un minore impatto rispetto alla mutazione omozigota. Alla luce di quanto la paziente riferisce, capisco che le sia stato prescritto il Clexane dato che ha lo scopo di fluidificare il sangue e ridurre il rischio di coaguli ed è interessante capire se potrà avere un effetto positivo o meno dato che ad oggi viene prescritto in maniera empirica, ciò significa che non abbiamo evidenze in merito al fatto che la somministrazione di questo medicinale ai soggetti che presentano una mutazione eterozigota per questo specifico gene aumenti la percentuale di successo .Per quanto riguarda il dosaggio, la questione è più sul piano accademico che pratico mentre le informazioni relative a peso ed altezza non rilevano ai fini della scelta tra 2000 o 4000 unità. Ritengo particolarmente rilevante porre l’attenzione sul fatto che attraverso la biopsia endometriale, alla paziente sia stata riscontrata la presenza di cellule uNK all’interno dell’utero; questo dimostra che potrebbe sussistere un fattore ancora più importante della mutazione genetica che abbiamo sin qui analizzato. Mi sentirei di consigliare alla signora di effettuare più test immunitari e qualora si riscontrasse la presenza di cellule uNK a livello sistemico oltre alla positività di altri marcatori immunitari, valutare l’utilizzo di steroidi a bassa dose poiché gli eventuali problemi della paziente a livello immunitario potrebbero essere la causa del mancato impianto; la somministrazione di Clexane non fornisce alcun aiuto al sistema immunitario, potrebbe aiutare sotto il profilo della mutazione etrozigota che di per se però è improbabile possa essere collegata all’esito negativo del precedente trattamento.

Salve dottore, grazie mille per la spiegazione chiara e precisa. Mi sto accingendo ad una PMA con ovodonazione, io e mio marito abbiamo fatto analisi e controlli fisici risultando entrambi idonei ed in salute, inoltre io, essendo in sovrappeso ho iniziato un percorso per la riduzione dello stomaco per essere normopeso, seguendo il suo intervento mi sono chiesta: prima del pick-up le blastocisti sono di prassi controllate e testate, come lei suggerisce? Grazie mille

Ci sono due aspetti da considerare, il primo è il tipo di trattamento che lei effettuerà quindi l’ovodonazione, l’altro è quello relativo al peso; per quanto riguarda quest’ultimo è importante cercare di raggiungere un peso corporeo che sia adeguato all’ottenimento di una gravidanza poiché l’eventuale aumento dello stesso è stato associato con un aumento del rischio di aborto spontaneo, con un aumentato rischio di problemi nel corso della gravidanza come la possibilità di sviluppare il diabete o patologie ipertensive, con l’aumento di probabilità di dover ricorrere ad un cesareo e di avere un feto in sovrappeso. Per quanto riguarda invece l’altro aspetto, quello della diagnosi genetica dell’embrione prima del trasferimento, di solito quando si utilizzano ovociti da donatrice, dopo aver accertato che la donatrice sia in buona salute, abbia avuto lei stessa delle gravidanze o che gli ovociti donati abbiano determinato gravidanze in altre riceventi, non è necessario effettuare la diagnosi genetica preimpianto. Diverso è invece il caso in cui fossimo di fronte ad una paziente che avesse effettuato ripetuti trattamenti non andati a buon fine con ovociti propri e soprattutto in tutte le pazienti di età superiore ai 37 anni.

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Relatore
Prof. Luciano Nardo, MD MRCOG

Prof. Luciano Nardo, MD MRCOG

Il Prof. Luciano Nardo, MD MRCOG, è un consulente ginecologo, sub-specialista in medicina e chirurgia riproduttiva. Si è formato in Italia, Londra e Manchester prima di essere nominato consulente in ginecologia e medicina riproduttiva al St Mary's Hospital di Manchester, dove ha lavorato a tempo pieno fino al 2011. I suoi interessi clinici e accademici riguardano l'infertilità, il concepimento assistito, l'endocrinologia ginecologica, il dolore pelvico, i disturbi mestruali e la gestione isteroscopica delle anomalie uterine. Ha esperienza nell'ecografia ginecologica e nella gestione dei problemi delle prime fasi della gravidanza, compresi gli aborti ricorrenti. Ha una vasta esperienza nella chirurgia laparoscopica avanzata per il trattamento di endometriosi, aderenze, fibromi, cisti ovariche, chirurgia tubarica e altre condizioni ginecologiche benigne, eseguendo regolarmente procedure laparoscopiche complesse come l'isterectomia, la miomectomia e l'inversione della sterilizzazione come procedure in day case. Luciano è membro del Royal College of Obstetricians and Gynaecologists e membro associato di molte altre società colte. Nel luglio 2017 è stato nominato Visiting Professor sia alla Manchester Metropolitan University che all'Università di Catania, come riconoscimento del suo impegno a lungo termine nella ricerca e nell'insegnamento accanto alla sua carriera clinica. Ha pubblicato più di 100 articoli su molti aspetti della ginecologia, della medicina e della chirurgia riproduttiva ed è regolarmente invitato come relatore a conferenze nazionali e internazionali.
Moderatore
Stefano Urbani

Stefano Urbani

Stefano Urbani, Formatosi prima come Ingegnere Gestionale presso il Politecnico di Milano e poi come Executive MBA, ha studiato Global Business Management al Boston College e Negotiation presso Audencia Business School di Nantes. Esperto di gestione organizzativa e di Risorse Umane, con una profonda attenzione alle Operations nei diversi processi toccati, ha diversi anni di esperienza professionale nello sviluppo di mercati esteri tra i quali, oltre all'Italia, diversi Paesi europei, l’area dell’ex Unione Sovietica CIS e l’area del Golfo GCC. Fondatore di TMI, Turismo Medico Italia: la prima startup innovativa nel mercato del turismo medico per la fornitura di servizi sia incoming per Italia al fine di supportare pazienti stranieri in cerca di cure, check-up o wellness & benessere SPA che per l'outbound in oltre dieci paesi del Mondo per i pazienti italiani in cerca di trattamenti all'estero. In qualità di esperto nello sviluppo di mercati esteri per i Sistemi Sanitari, eroga consulenza a cliniche, ospedali e gruppi sanitari per lo sviluppo del business internazionale. Oggi, Stefano guida la crescita della EFS - European Fertility Society per l’area Italia supportato da uno Staff altamente competente e qualificato. Progetto a cui crede molto per il l’impatto Sociale di alto valore.
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