Dott.ssa Virginia Verbicaro
Psicologa e Psicoterapeuta del Centro Biofertility, Centro Biofertility
Categoria:
Emotività e Supporto, Impianto dell’embrione, Tassi di Successo
In questa sessione la Dott.ssa Virginia Verbicaro, Psicologa e Psicoterapeuta del Centro Biofertility, ha parlato degli effetti dello stress sul corpo e delle varie opzioni per capirlo e affrontarlo meglio.
Le statistiche fornite ad oggi dal ministero della salute dicono che una coppia su cinque ha difficoltà ad avere figli naturalmente le cause riguardano per il 40% gli uomini per il 40% le donne e per il rimanente 20% la coppia, sempre più coppie fanno quindi ricorso alla procreazione, tra le motivazioni principali si trova l’innalzamento dell’età media in cui si decide di avere il primo figlio che in Italia ( se pur con qualche variazione tra nord e sud) specialmente per le donne si è innalzata, e supera i 31 anni età in cui la fertilità femminile inizia a diminuire rispetto all’età media delle donne straniere che all’incirca si attesta intorno a 28,7 anni. Se poi si analizzano in maniera più dettagliata le cause di infertilità, è possibile vedere che ne esiste una percentuale di derivazione maschile, una percentuale derivante da condizioni endometriali, una parte legata a fattori endocrini o ovulatori ma particolare attenzione si deve prestare secondo la dottoressa alle cause di natura IDIOPATICA che ricoprono il 33% circa e che insieme al 2% derivante da altre cause , rappresentano un dato particolarmente rilevante; tra le cause di tipo idiopatico si inseriscono tutte quelle cause che hanno a che fare con l’aspetto emotivo e che ad oggi non sono dimostrate scientificamente ma che si può dimostrare, in maniera indiretta quanto invece incidano e pesino nell’affrontare un percorso di pma nella maniera migliore.
Non di poco conto è la diagnosi di natura idiopatica che la dottoressa definisce una sorta di diagnosi senza diagnosi, apparente però, poiché tutte le coppie che si sono trovate in questa situazione sono bene a conoscenza di quale sia la situazione emotiva nella quale si trovano nel momento in cui si è di fronte ad una apparente assenza di diagnosi, in realtà una diagnosi sine causa è una diagnosi a tutti gli effetti e genera nelle coppie dei sentimenti di profonda solitudine e smarrimento, spesso i pazienti della Dottoressa riferiscono quanto il non sapere quale sia il problema li faccia sentire impotenti e generi in loro ansia.
Nei percorsi di pma si attiva ed è molto forte il CONTROLLO, tutte le visite impongono un controllo, è necessario fare attenzione a controllare tutti i piani terapeutici, non si devono dimenticare gli appuntamenti, si deve fare attenzione alle medicine da prendere, non si devono dimenticare i monitoraggi, si deve controllare e prestare attenzione a tutto quello che è l’iter della pma; questo controllo però genera nel paziente una profonda illusione, ovvero quella che se si riesce a tenere tutto sotto controllo le cose possano migliorare ed ecco allora che entra in gioco il secondo aspetto cioè quello dell’aspettativa e si comincia a fantasticare sul fatto che ci possa essere qualcosa che possa essere fatto per determinare migliori risultati, questo genera secondo la Dottoressa quella che lei stessa definisce spirale del blocco riproduttivo; il percorso di pma già di per se essendo un percorso medicalizzante può bloccare il naturale sistema riproduttivo, se in più la mente si concentra sulla gestione, il controllo e la prevedibilità di quelli che sono i rischi o le possibilità di migliorare i programmi aumenta la probabilità di bloccare il corpo perché aumenta l’illusione di poter pilotate o migliorare i risultati, in realtà è ben noto che non è così.
Perché dopo il transfer è così difficile gestire lo stress l’ansia e la tensione? Per prima cosa a questo punto del percorso la paziente passa da una fase operativa, quella in cui la coppia una volta contattato il centro e programmato il tentativo, inizia ad effettuare analisi e controlli che tengono la coppia in un certo senso impegnata, in un rapporto costante e diretto con il centro, una volta effettuato il pick up e il transfer la paziente passa ad una fase di attesa in cui non c’è più un intervento diretto da parte del centro e della coppia che si limiterà a dovere controllare alcuni valori; questa fase è la più difficile perché è come se si vivesse una sorta di congelamento in attesa del risultato, questo fa si che la sofferenza emotiva aumenti quasi come se il livello di tensione si abbassasse facendo riemergere tutto quello che emotivamente era stato messo da parte per dare spazio alla fase più operativa, a questo si unisce la forte sensazione di impotenza e perdita di controllo perché è come se ci si convincesse che in questa fase tutto quello che la paziente poteva fare e che il centro poteva fare è stato fatto e che adesso tutto dipenda dal corpo della donna, il convincimento proprio di questo ultimo aspetto porta spesso la paziente a pensare di mettersi a letto, evitate di andare a fare la spesa , a lavoro, di muoversi, di fare la propria vita normalmente in funzione del miglioramento del risultato o dell’illusione che tenendo tutto sotto controllo, prestando una grande attenzione a tutti i sintomi e i segnali del corpo, si potessero migliorare le sorti di quelle che saranno le beta; tutta questa situazione ha in realtà l’effetto contrario sul corpo che viene messo in una posizione di profonda difesa.
Una volta effettuato il transfer una delle cose che viene maggiormente detta alle coppie è “non pensarci , perché solo se non ci pensi accadrà”, come tutti i detti popolari un minimo fondo di verità in questa affermazione c’è, perché sebbene sia impossibile non pensare a quello che si è fatto, stante il fatto che si devono fare le beta in un dato momento e che ogni due gironi si effettuano prelievi e tutto questo riporta il pensiero inevitabilmente al processo, è pur sempre vero che portando sempre il pensiero sul solito punto si innesca il meccanismo per cui si porta con la mente, il proprio sistema riproduttivo a bloccarsi; trovare quindi qualcosa che possa permettere alla paziente di impegnarsi mentalmente e fisicamente in maniera produttiva in modo tale da concentrare il pensiero su altro può essere di aiuto , in questo senso si parla di una sorta di chiodo schiaccia chiodo. Nei casi in cui attuare questo processo diventa difficile, la dottoressa illustra un programma che viene attuato a biofertility al quale si può fare riferimento e che mette al centro la coppia e non solo la patologia biologica.
Lo stress oggi sappiamo che ha degli effetti forti sul sistema immunitario, ecco perché al centro della cura delle coppie c’è l’intento di abbassare il livello di stress di ansia; nel grafico illustrato dalla dottoressa è possibile vedere come i livelli di cortisolo cambino in una situazione di normalità rispetto ad una situazione di stress cronico, cioè lo stress generato dal percorso di pma soprattutto se questo si protrae nel tempo.
Gli effetti dello stress sul corpo non sono di poco conto, esiste infatti una piccola ghiandola chiamata ipofisi, che gestisce la produzione degli ormoni, che non può produrre contemporaneamente cortisolo ed ossitocina, conosciuto come ormone dell’amore e che è il più potente anestetico naturale esistente, se quindi l’impulso che arriva al cervello è un impulso di stress, l’ipotalamo , di conseguenza l’ipofisi e di conseguenza la ghiandola surrenale, mettono in atti degli effetti metabolici molto forti, producendo in particolar modo cortisolo, che hanno un grande impatto su tutto il corpo, sul sistema immunitario e di conseguenza sul sistema riproduttivo. D a una ricerca che è stata messa in atto da tempo presso il centro biofertility vengono valutati sia i livelli di stress che i livelli di paura, dove per paura si intende una paura specifica, cioè quella di non riuscire nell’intento di procreazione; entra in questa situazione nuovamente in gioco il problema del controllo, questo genera stress e lo stress e la paura di perdere il controllo, generano una forte tensione e paura di non riuscire nel tentativo che in un certo qual modo va a bloccare tutto il meccanismo riproduttivo che in natura avviene senza pensare. La paura e lo stress sono dei sentimenti che accompagnano tutte le coppie nei percorsi di pma e lo stress in particolare non è di per se disfunzionale, lo diventa nel momento in cui si cronicizza e va ad incidere sul sistema riproduttivo, abbassare quindi i livelli di stress e tensione è necessario per migliorare anche i risultati. Dalle ricerche svolte nel centro si sono potuti creare 4 gruppi diversi di pazienti
Pazienti che hanno paura e hanno dedicato la vita al lavoro
Il gruppo tre e il gruppo quattro, rappresentano pazienti con maggiori difficoltà ad affrontare il percorso di pma nella maniera migliore, soprattutto il gruppo tre che rappresenta le pazienti che hanno paura e che avendo dedicato la loro vita esclusivamente alla maternità, hanno maggiori difficoltà soprattutto nelle due settimane successive al transfer ad affrontare al meglio il periodo di attesa; aver dedicato la propria vita interamente alla maternità o al desiderio del figlio può apparire un aspetto positivo , ma in realtà è disturbante perché non esiste un’alternativa valida, come può essere il lavoro, che permetta di controbilanciare quello che la mancanza del figlio può generare.
Le pazienti del gruppo tre in particolar modo, hanno maggior difficoltà a superare il periodo post transfer proprio perché hanno concentrato tutta la loro realizzazione personale nell’idea di maternità, diventa per loro difficile trovare altri interessi o altre fonti di soddisfazione oltre alla gravidanza e al figlio immaginato e per le quali nemmeno la relazione di coppia sembra bastare, sono donne che hanno in un certo qual modo impacchettato la loro vita e le loro idee, in funzione del tentativo e della possibilità di avere un figlio.
Non si deve dimenticare che al centro della pma c’è la coppia, non può diventare la pma il centro attorno al quale la coppia orbita, la dottoressa utilizza un interessante metafora, quella della torta: la coppia dovrebbe rappresentare una torta che è già buona e soddisfacente così com’è, il figlio può essere la ciliegina della torta che ne arricchisce il sapore , ma non è quello che rende la torta buona , questa dovrebbe essere di per se completa anche senza la ciliegina che costituisce un arricchimento della coppia e della persona.
Il programma body mind, va a connettere l’asse mente corpo trasformando un atteggiamento controllante e bloccante e contrastando la medicalizzazione che è in un certo qual modo immediata quando si accede ad un percorso di pma, in un atteggiamento più fatalista; questo non significa perdere le speranze o non credere in ciò che la paziente sta facendo ma semplicemente cercare di puntare il meno possibile su quel singolo tentativo.
Esistono due tipi di programma body mind ai quali possono accedere sia donne che coppie, il primo tipo di programma il PROGRAMMA COUNSELING inizia a ridosso del tentativo e si compone di cinque incontri, il primo post prima visita il successivo a inizio della stimolazione un nuovo incontro nella fase tra pick up e transfer, un quarto incontro post transfer ed infine un incontro successivo al controllo delle beta, soprattutto questo incontro è moto importante perché permette di valutare assieme alla dottoressa quello che è successo e lavorare in maniera mirata a seconda dell’esito riscontrato, se l’esito è positivo il lavoro si incentrerà su come prepararsi ad eventuali perdite o aborti che si potrebbero verificare nel primo trimestre o sull’attivazione di paure che magari fino a quel momento sono stati ben gestiti, nel caso invece di esito negativo il lavoro sarà di elaborazione del lutto poiché da un punto di vista psicologico un fallimento o un eventuale aborto sono considerati dei veri e propri lutti e come tali devono essere gestiti. L’altro tipo di programma è un programma di terapia vero e proprio che inizia appena si accede al centro, è un percorso più lungo durante il quale si affronta il tema della pma ma anche altre tematiche che ruotano intorno alla donna e alla coppia che intraprendono questo percorso.
La dottoressa illustra tre tra i principali successi ottenuti attraverso il lavoro svolto, nel primo caso abbiamo una paziente di 44 anni appartenente al gruppo tre , contraddistinto da pazienti con molte difficoltà da un punto di vista emotivo, e che aveva da un una forte paura di non riuscire a realizzare il suo desiderio di maternità, con una diagnosi di tipo idiopatico, aveva concentrato tutta la sua vita nella maternità sebbene trovasse una fonte di soddisfazione nel suo lavoro; inizia il percorso body mind dopo aver ricorso alla pma conseguentemente a diversi aborti avuti spontaneamente, nella convinzione che la pma avrebbe risolto rapidamente il suo problema mentre trascorrono otto anni senza ottenere alcun risultato, circa due anni fa inizia con la dottoressa il percorso di terapia body mind, viene seguita per circa un anno e mezzo dalla dottoressa affrontando diversi aspetti, elaborando ed accettando l’idea della pma che risultava difficile da accettare per la paziente soprattutto perché tendeva a mettere in discussione se stessa e il suo corpo, interpretando il fatto di non riuscire a procreare come indicazione di un corpo non buono o di un corretto funzionamento proprio della persona stessa, terminato il percorso e maturata l’idea di ricorrere ad un percorso di tipo eterologo, nel momento in cui decide di iniziare il percorso ,ottiene una gravidanza spontanea.
Il secondo caso che la dottoressa propone è quello di una paziente di 35 anni appartenente al gruppo 2, con una diagnosi di endometriosi al quarto stadio e con un fortissimo senso di controllo che andava ad interferire su tutto il percorso di pma, la continua necessità di rassicurazioni di rassicurazioni in merito alle terapie e ai controlli ma anche alle cause e alle eventuali probabilità di successo, inizia anche lei un programma body mind più lungo e, in collaborazione col professor manna che ha lavorato da un punto di vista biologico sull’abbandono di questa continua necessità di controllo, cercando di cogliere la paziente “alla sprovvista” inizia a afre su ciclo spontaneo l’ultimo tentativo e solo all’ultimo avendo due tentativi abbastanza buoni , inizia una blanda stimolazione di domenica, la paziente ottiene una gravidanza spontanea gemellare. L’ultimo caso di cui la dottoressa parla è quello di una paziente di 39 anni, appartenente al gruppo tre ed anche lei con problemi di endometriosi, con alle spalle diversi tentativi di pma non andati a buon fine, il lavoro che la dottoressa svolge si concentra proprio sull’accettazione della necessità di intraprendere un percorso di pma per raggiungere l’obbiettivo desiderato e contestualmente sull’abbassamento del livello delle aspettative, dopo circa un anno la paziente ottiene una gravidanza spontanea.
Vediamo di seguito le principali differenze tra i due programmi
PROGRAMMA COUNSELING
-Breve (5 incontri)
-Mirato
-A ridosso con il tentativo
Gli strumenti utilizzati sono:
–Colloquio clinico
-Esercizi di respirazione e meditazione
RISULTATI
-Più a breve termine, nel qui e ora
-Consentono l’acquisizione di un atteggiamento più giusto per affrontate al meglio il tentativo
PROGRAMMA TERAPIA
-Più lungo
-Ad ampio spettro
-Segue le coppie o la donna durante tutto il percorso
Gli strumenti utilizzati:
-Colloquio clinico
-All’occorrenza esercizi pratici
RISULTATI
-Più a lungo termine perché si lavora più ad ampio spettro
-Influiscono sui risultati del tentativo
In conclusione è possibile asserire che il controllo, l’atteggiamento e lo stress hanno un forte impatto sul percorso di pma e di conseguenza sui risultati, per questo motivo le coppie che accedono al centro con cui collabora la dottoressa, in un livello di massima personalizzazione, sono messe al centro, ma nel loro complesso, non solo rispetto alla loro patologia biologica, quindi la coppia o la donna che accedono al centro di pma vengono considerati nella loro interezza con il vissuto emotivo rispetto a quello che sta affrontando.
Possono essere fornite indicazioni più precise sicuramente dal Professor Manna o dal ginecologo che vi segue in questo percorso, in ogni caso è possibile dosare il valore di questo ormone attraverso un esame del sangue.
Sicuramente un grande aiuto può essere dato dal fatto di cercare di evitare di mettere al centro di tutto il percorso di pma e quindi anche l’aspettativa rispetto al risultato, anche avvalersi del massimo livello di personalizzazione fa una grande differenza perché l’aspetto emotivo ha un peso importante rispetto al percorso, di conseguenza cercare di avere un atteggiamento meno controllante dell’intero percorso ,può fare una grande differenza, nell’atteggiamento, nell’affrontare il tutto con minore stress e anche rispetto ai risultati.
Per quanto possa sembrare un’utopia, la cosa migliore sarebbe avere un atteggiamento disinteressato nei confronti dell’attesa del risultato, si può raggiungere questo obbiettivo attraverso un lavoro iniziato prima di questo momento tramite il quale la paziente si allena per arrivare nel modo più rilassato possibile all’attesa che è il momento finale di un percorso che trova il suo inizio nel momento in cui la coppia si rivolge al primo centro e programma il tentativo, lavorare quindi in vista dell’arrivo di quello specifico momento prima, permette di prepararsi al meglio ad affrontarlo cercando di trovare degli interessi che possano ad esempio aiutare a distrarsi facendo il famoso “chiodo schiaccia chiodo” tenendo la mente e il corpo impegnato in altro, inoltre un altro importante aiuto si può trovare nello svolgimento di una vita regolare, evitare di congelare i propri interessi o le cose da fare, in previsione del percorso o del tempo dell’attesa perché tutto questo interferisce in modo negativo.
Per raggiungere un atteggiamento più rilassato è bene iniziare a lavorare su questo aspetto un pochino in anticipo in modo da prepararsi nel miglior modo possibile, cercando di porre l’attenzione su altro, pensando che la pma è “una parte” della propria vita, per fare questo si deve immaginare il raggiungimento dell’obbiettivo figlio in maniera diversa, non come un diritto o come qualcosa che deve accadere per forza perché spetta a tutti ma più come un dono.
Questo atteggiamento viene messo in atto molto spesso, ma come dice la paziente, è solo un modo di proteggersi, è una sorta di illusione, non spero più di tanto che andrà bene come se volessi prepararmi al peggio, in realtà, quando poi il peggio purtroppo arriva, si è ben visto che le conseguenze sono ugualmente devastanti; un atteggiamento pessimista, così come un atteggiamento ottimista ,rappresentano un po’ due facce della stessa medaglia, due meccanismi di difesa messi in atto allo stesso modo, un po’ per non guardare in faccia la realtà; l’atteggiamento migliore è quello realista, tenendo bene a mente quali sono le probabilità di riuscita per quanto questo possa apparire cinico, anche in natura, quando si decide di avere un figlio, non ci si aspetta che dopo il primo rapporto si riesca ad ottenere questo risultato, indubbiamente c’è una grande differenza tra intraprendere un percorso di pma ed avere un rapporto spontaneo ma l’aspettativa dovrebbe essere la stessa sebbene nel percorso di pma questa sia molto più grande perché c’è un maggior investimento emotivo ed economico e questo può creare l’illusione che spetti una sorta di premio finale.
Sì, fatta eccezione dei lavori usuranti o particolarmente stancanti, basti pensare al fatto che solitamente una donna scopre la gravidanza quando questa è già all’incirca al secondo mese e in quel tempo la sua vita non cambia, proprio perché non se ne è a conoscenza e nonostante questo la gravidanza procede ugualmente, si dovrebbe quindi cercare di riprendere subito il ritmo di una vita normale.
Si, lo consiglio, anche se al momento i migliori risultati li stiamo ottenendo attraverso colloqui individuali o di coppia, nei quali è possibile avere un’attenzione più mirata e si ha un miglior modo di esternare i propri vissuti; alle volte in questi percorsi si può scivolare nel confronto tra la propria situazione, nei diversi momenti e quella degli altri, e questo talvolta, nei percorsi di pma può avere l’effetto contrario rispetto a quello di aiutare.
Resistere è una salvezza in realtà, il rischio che si corre nel farlo è paradossalmente più alto, se infatti lo si fa molto presto, potrebbe ad esempio capitare di avere poi delle perdite, può accadere che l’impianto sia avvenuto ma che poi la gravidanza non proceda, una volta fatto il test e ottenuto il risultato si è certi che qualcosa c’è e quindi tutti i meccanismi di paura si attivano in modo molto più importante ed avendo molto più tempo si è magari costretti a fare più beta per monitorare la situazione e il loro valore si potrebbe abbassare, si innesca così una spirale di ansia che in realtà gioca a sfavore, quindi, per quanto sia faticoso, resistere nel fare il test alla lunga paga, anche perché con le cure ormonali che si fanno in questo percorso i test possono dare più falsi positivi e si ricade nel discorso dell’illusione per cui più è grande l’aspettativa più alta è la delusione.
Questo è molto difficile , proprio per questo nel percorso di pma può essere di grande aiuto il supporto psicologico, perché mentre quando di norma si affronta un problema nella coppia, questo è in realtà della coppia in maniera indiretta, se ad esempio uno dei due perde il lavoro l’altro riesce magari a far forza al partner, nel caso della pma il problema è realmente della coppia e non solo di uno dei due ed è quindi molto difficile riuscire a sostenere l’altro quando anche io sto vivendo e attraversando la stessa sofferenza, ecco perché un terzo soggetto, in questo caso un terapeuta, può aiutare il partner a sostenere la coppia, anche perché così come di fronte ad una patologia importante ,la famiglia e la coppia sono la principale fonte di sostegno per l’ammalato, anche in un percorso di pma il partner che riesce a trovare le risorse per sostenere al meglio la propria compagna è funzionale anche nell’affrontare nel miglior modo il percorso da un punto di vista emotivo, diventa un fattore protettivo importante.
I primi giorni, un po’ di riposo è consigliato, da noi ad esempio la paziente che effettua il transfer rimane poi a casa per due tre giorni, ma questo è ben diverso dal congelare completamente la propria vita per quattordici giorni, questo tipo di atteggiamento viene sconsigliato perché anche le ultime ricerche scientifiche hanno dimostrato che non ci sono dei miglioramenti mettendo a confronto pazienti che stanno a riposo per quindici giorni e pazienti che riprendono una vita regolare, rispetto alle maggiori possibilità di ottenere una gravidanza, proprio per questo, nell’ottica di cercare di rendere il più naturale possibile il percorso di pma, da noi il professor Manna non consiglia riposo assoluto nei giorni dell’attesa, sia perché non sarebbe coerente con la nostra impostazione del percorso, sia perché questo tenderebbe a bloccare il sistema riproduttivo piuttosto che lasciarlo libero di funzionare, se sono a letto, il messaggio che mando è quello di una condizione di malattia, di qualcosa che non va e quindi il mio corpo reagirà in una direzione, che non è di benessere.
La prima opzione in caso di risultato negativo è quella di metabolizzare il risultato, facendo un po’ i conti con ciò che c’è stato prima, l’aspettativa e il risultato, dopodiché, nel momento in cui la paziente è pronta, si iniziano a valutare le altre possibilità, quella di riprendere un nuovo tentativo oppure darsi del tempo, in questo caso ad esempio, se necessario, si possono fare degli incontri di coppia per capire qual è il livello di elaborazione dell’evento e decidere magari di prendersi una pausa, se necessario, prima di procedere con un ulteriore tentativo, è importante fondamentalmente valutare gli effetti del risultato negativo.
Non è possibile farlo, perché questo vorrebbe dire non prendere in considerazione il piano di realtà, ciò che invece si può fare è utilizzare l’esperienza passata per avere una minore aspettativa nel tentativo successivo, che non significa perdere le speranze o lasciar perdere, ma vuol dire considerare le possibilità di riuscita e usare i precedenti fallimenti, se ben elaborati come una risorsa.
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