Dott.ssa Valentina Berruti
Psicoterapeuta presso B-Woman – Centro per la salute della donna, B-Woman – Centro per la salute della donna
Categoria:
Emotività e Supporto, Età materna avanzata
In questa sessione l’autrice Dott.ssa Valentina Berruti, Psicoterapeuta presso B-Woman – Centro per la salute della donna, ha introdotto il suo libro “Infertilità due punto zero. Il concepimento difficile. Dal Generale al particolare” che tratta il tema della difficoltà nell’avere i figli e approfondisce gli aspetti specifici dell’argomento.
La dottoressa Berruti, psicologa e psicoterapeuta si occupa in maniera più specifica di PMA da molti anni e dal 2014 in particolare, circa il 90% dei pazienti che segue, hanno ricevuto una diagnosi di infertilità e che necessitano per questo spesso un supporto psicologico, anche le linee guida della legge 40 del 2004, invitano ad un supporto di questo tipo dalla fase di diagnosi fino all’ottenimento della gravidanza ed anche successivamente, poiché l’esperienza dell’infertilità è veramente molto complessa, e talvolta può addirittura arrivare a determinare l’intaccamento dell’equilibrio di coppia fino a determinarne la rottura. Principalmente la dottoressa si occupa di seguire le coppie non solo al momento della diagnosi di infertilità, ma anche successivamente nel percorso della genitorialità che dovrà poi essere affrontato.
La scelta di scrivere un libro che trattasse il tema dell’infertilità è derivata dalla necessità sentita da parte della dottoressa e delle colleghe, di poter scrivere un libro che spiegasse il problema dell’infertilità in maniera poliedrica, che partisse da un discorso generale ed arrivasse a raccontare la storia di una coppia infertile e che prevedesse interviste anche a tutti gli attori che fanno parte del mondo della fecondazione assistita, non solo i pazienti ma anche i ginecologi, le donatrici e i figli che nascono attraverso la donazione dei gameti; il desiderio era quello di creare un testo che non fosse puramente tecnico e quindi utile solo agli addetti ai lavori ma che potesse essere utile e compreso anche da chi vive l’esperienza dell’infertilità, realizzando una sorta di manuale che potesse essere di aiuto alle coppie che intraprendono questo percorso. All’interno del testo sono reperibili anche una serie di aspetti che sono stati lasciati dai pazienti alle psicologhe, la copertina ad esempio è un disegno che una paziente ha realizzato e donato e attraverso il quale ha rappresentato la sensazione e l’emozione provata al momento della diagnosi di infertilità, una donna con una pancia vuota, addirittura bucata che esprime tutta la tristezza e il dolore di chi vive l’esperienza dell’infertilità.
La locuzione “due punto zero” rappresenta il vissuto delle coppie, nell’epoca della modernità digitale, che nonostante sognino l’arrivo di un terzo, sono costrette a vivere con il timore di non riuscire a diventare genitori e non arrivare oltre il due.
Il libro è stato diviso in tre parti e può essere letto non necessariamente in sequenza.
Uno sguardo di insieme al tema dell’infertilità
Si è scelto di trattare diversi argomenti tra cui gli aspetti biopsicosociali dell’infertilità, i cosiddetti rimedi per contrastare l’infertilità, si parla anche degli aspetti legislativi collegati a questa condizione che è importante conoscere perché possono comunque influenzare l’aspetto psicologico, la fecondazione con donazione di gameti ad esempio è legale in Italia solo dal 2014 che è un tempo relativamente breve, si parla delle rappresentazioni dell’infertilità nella storia biblica, nel web, dove sono presenti numerosi gruppi in cui le donne trattano questo argomento e parlano delle loro difficoltà e del loro dolore, ancora nella letteratura, nel teatro , nei film, nell’arte e nella musica, l’intento è proprio quello di mostrare l’interpretazione dell’infertilità da vari punti di vista e far comprendere ai pazienti che l’esperienza dell’infertilità è un qualcosa che l’uomo si porta dietro da sempre e nella storia si è cercato di risolvere i problemi a questo tema collegato, in vari modi.
Nella seconda parte si è scelto di raccontare quello che è collegato alla sfera emozionale, si sono raccontati i vissuti psicologici che accompagnano la diagnosi di infertilità che sono estremamente dolorosi la coppia che riceve questa diagnosi vive un evento che viene definito para normativo perché è un evento che mette in crisi la coppia, spesso se la diagnosi viene fatta ad uno solo dei componenti della coppia questo prova un profondo senso di colpa e tende ad assumersi tutta la responsabilità in particolar modo le donne che si sentono talmente colpevoli da arrivare al punto di chiedere al proprio compagno di essere lasciata affinchè lui possa raggiungere l’obiettivo della paternità. L’infertilità da un punto di vista maschile viene invece vista come un tabù, c’è una grossa difficoltà da parte degli uomini perché spesso il vissuto psicologico dell’uomo è collegato al concetto di potenza, essere infertili li fa sentire impotenti, cosa che non corrisponde affatto al vero, ma che per cultura e per incapacità di analizzare nel profondo questa problematica, spesso accompagnano gli uomini che vivono questa situazione. Si è cercato di raccontare i vissuti psicologici delle diverse fasi della PMA che sono tra loro molto diversi, quando si attraversa una fase di diagnosi ad esempio, inizialmente ci si sente confusi, non si sa quello che si deve fare, non si sa se si vuole intraprendere un percorso di fecondazione assistita, quando ha questa diagnosi la coppia si trova a dover scegliere se fare un percorso di PMA, optare per l’adozione o ancora valutare l’opzione di non fare niente e vedere che cosa accade, ogni momento di questo percorso è caratterizzato da vissuti diversi, tutti riferiscono che il momento più difficile è quello in cui si deve decidere se intraprendere o meno il percorso della procreazione medicalmente assistita perché si possono avere diverse e si può generare quella che viene definita asimmetria di coppia, possono occorrere tempi diversi per raggiungere la decisione comune di procedere in questo percorso e spesso sono le donne a spingere maggiormente fin da subito per questa via non incontrando da subito il consenso dell’uomo; in questo caso è importante ricorrere ad un aiuto psicologico affinchè le scelte non siano subito dall’uno o dall’altro e affinchè si riesca a proteggere l’equilibrio della coppia. Un altro aspetto fortemente rilevante è quello dell’aspetto psicologica della fecondazione eterologa (che sarebbe in realtà corretto chiamare fecondazione con donazione di gameti), quando la coppia deve affrontare questa specifica esperienza si attraversano molti moment difficili, oltre al lutto per l’infertilità si deve affrontare il lutto per il legame biologico e questo può avere delle ripercussioni in quanto entrambi i membri della coppia possono trovarsi in situazioni profondamente diverse all’interno della scelta, la maggior parte delle coppie, riferisce la dottoressa, arrivano da lei proprio nel momento in cui, dopo vari tentativi di fecondazione omologa devono passare all’eterologa, si rivolgono allo specialista proprio per capire se è questa la via corretta da scegliere per loro; nel libro viene poi spiegato il ruolo della consulenza psicologica nella PMA e si spiega che cosa significa chiedere una consulenza o un supporto psicologico che può tramutarsi in una psicoterapia, che è un percorso più approfondito, e si invitano i pazienti a comprendere quando è necessario o meno farvi ricorso, fornendo indicazioni per poter scegliere in maniera idonea lo psicoterapeuta che si occupa di PMA, che sia ben aggiornato e competente in materia perché è un argomento che richiede continui aggiornamenti.
Questa parte è stata sviluppata direttamente dalla Dottoressa Berruti ed è quella che riguarda il racconto della storia di una coppia infertile incontrata a seguito di una serie di fallimenti da fecondazione omologa; la coppia si racconta attraverso le pagine di un diario, commentato da un punto di vista psicologico dalla dottoressa, utilizzato proprio per la difficoltà che spesso hanno incontrato nel comunicare e per trovare una valvola di sfogo delle loro emozioni e potersi poi incontrare in stanza di terapia per cercare di elaborare meglio il percorso che è un percorso in grado di diventare profondamente generativo ed evolutivo se affrontato in maniera idonea. La dottoressa analizza quello che accade da un punto di vista psicologico alle coppie nel momento in cui iniziano la ricerca del centro PMA, che si desidera essere quello in grado di fornire maggiori certezze, in realtà la PMA è una tecnica nuova, (basti considerare che la prima bambina nata con questa tecnica è del 1978 che da un punto di vista della medicina può essere considerato, in termini di tempo, l’altro ieri) e sebbene non abbia per questo delle grandissime probabilità di successo, rappresenta comunque un’opportunità che in passato non potevano avere moltissime coppie, la ricerca del centro può essere fatta in una maniera idonea, per farlo è importante capire cosa è più giusto per la coppia e che genere di relazione ad esempio, si vuole intraprendere con il medico, che cosa quindi è meglio per chi deve fare la scelta; la coppia racconta poi l’inizio dei trattamenti di fecondazione assistita che sono caratterizzati da una forte convinzione ella possibilità di successo, ma durante la quale sarebbe opportuno mantenere comunque i piedi per terra ed essere consapevoli che possono occorrere anche più tentativi per ottenere il risultato desiderato, si parla del periodo successivo al fallimento così definito dalle coppie ma che la dottoressa invece suggerisce di considerare come la possibilità di ottenere informazioni in più per comprendere qual è la strada migliore per i futuri genitori ed anche per aiutare il medico a capire quale sia il trattamento migliore, si tratta il tema del rifiuto di parlarne con amici e parenti, dell’elaborazione della scelta di una nuova tecnica come il passaggio all’eterologa con le naturali riflessioni e paure ad esempio relative al legame biologico ( proprio in questo momento la maggior parte delle coppie decide di fare ricorso all’aiuto di un terapeuta) le paure che vengono spesso riportate sono quelle relative al dubbio in merito alla capacità di mare un figlio con il quale non si ha un legame biologico e al fatto di dover raccontare o meno al bambino il fatto di essere nato attraverso la donazione di gameti, il terapeuta in questo caso non ha il compito di fornire risposte sulla scelta da effettuare, ma aiutare la coppia a analizzare il significato che ha per loro il progetto genitoriale e che cosa significa per loro il legame biologico per capire se sono pronti o meno per affrontare questo tipo di scelta che ha grosse implicazioni; la dottoressa racconta poi nel libro l’esperienza della coppia che ha scelto questa opzione con le relative speranze e preoccupazioni sull’esito del trattamento perché spesso la prima tecnica con donazione di gameti è caricata di grandi aspettative, viene affrontato anche il tema del fallimento della fecondazione eterologa (che è l’esperienza che vive proprio la coppia di cui si racconta nel libro) parlando dei significati dati al fallimento e dell’esperienza stessa che viene poi però trasformata, in maniera evolutiva grazie al percorso con lo psicoterapeuta. La coppia raggiunge finalmente la gravidanza tanto desiderata, dopo diversi tentativi, gravidanza molto preziosa vissuta in modo completamento diverso rispetto a chi non ha fatto questo percorso, si raccontano i dubbi e la paura di perdere il bambino, questi tipi di gravidanze sono caratterizzate proprio dalla presenza di molte paure ed il compito del percorso psicologico è proprio quello di aiutare la coppia a trovare un equilibrio parlando e raccontando le emozioni vissute dalla coppia; raggiunto l’obiettivo della gravidanza, inizia una nuova fase, quella della genitorialità, che è diversa dalla genitorialità delle coppie che non seguono questo percorso, è una genitorialità più complessa che nella sua diversità può però trovare molte risorse, che possono essere viste in forza del lavoro svolto in precedenza nell’affrontare l’intero percorso, che può essere vissuto in modo costruttivo ma talvolta al contrario, in modo distruttivo, quando questo accade può succedere che si verifichi una rottura della coppia purtroppo anche dopo la nascita del bambino; infine viene raccontato che cos’è il follow up ad un anno dalla nascita del proprio figlio.
Frida Kahlo, racconta nell’opera OSPEDALE HENRY FORD (IL LETTO VOLANTE), la sua esperienza con l’infertilità e l’aborto e lascia uno scritto di seguito riportato.
“Sono responsabile, avrei dovuto essere più forte, mille volte più forte, evitarti qualsiasi male, trattenerti in me anima e corpo. E’ crollato tutto, si è scavato un abisso dentro di me e attorno a me: non sei più qui e il mio corpo volge alla rovina, si disintegra. La speranza è vietata.”
Le parti del corpo mandate in giro nel quadro, rappresentano lo smembramento, il tormento e la malattia che da sempre ha preso nella vita dell’artista e per la quale Frida si colpevolizza:
“Come ho potuto lasciarti andare?”
Il corpo e l’anima si arrendono alla disperazione ma Frida si concede il lusso di vivere entrambi con consapevolezza dando loro addirittura una forma.
La fecondazione con donazione di gameti è una situazione fortemente complessa e spesso psicologi e medici invitano le coppie che decidono di fare questo percorso o che decidono di intraprendere un percorso di fecondazione con donazione di gameti, anche se ne sono convinte, ad intraprendere un percorso psicologico, perché oltre al lutto per l’infertilità, si deve affrontare anche il lutto biologico e purtroppo noi viviamo in una società in cui si ha molto la convinzione che il legame biologico garantisca qualcosa; si deve poi accettare l’ingresso all’interno della coppia l’entrata di un terzo soggetto rappresentato dal donatore o dalla donatrice, accettare gameti, non è la stessa cosa che accettare il donatore, il posto del donatore dipende fortemente da come i genitori hanno accettato l’immagine che se ne sono creati, è importante che i genitori abbiano accettato bene il lutto biologico perché in caso contrario, un figlio nato con questa tecnica, non si sentirà mai pienamente accettato; si deve comprendere che ci fa questa scelta, fa nascere un individuo la cui identità è formata anche grazie ad un’identità genetica che è esterna a quella della famiglia che poi accoglie il bambino ed è necessario accettare questo aspetto per accettare pienamente il bambino o la bambina che arriveranno e che di conseguenza non si sentirà pienamente accettato per la sua identità, che è formata anche (ma non solo) dal modo in cui una persona è venuta al mondo.
La dottoressa riporta la pagina del diario di una coppia, la pagina iniziale, il momento in cui si desidera un figlio.
Nella pagina di diario sono presenti tutte le sensazioni e i pensieri che un pò tutte le donne che si rivolgono alla dottoressa riportano, il senso di colpa, la centralità che il desiderio di avere un figlio può avere all’interno della coppia, il senso di colpa nei confronti del partner e l’idea di sentirsi in colpa nei confronti della propria famiglia perché l’infertilità della coppia genera la mancanza della possibilità di diventare nonni per i propri genitori. Nella pagina riportata si possono ritrovare le sensazioni che può provare una coppia, lo stupore nello scoprire la difficoltà di concepimento a 40 anni soprattutto in una società che ci porta a credere in realtà il contrario, i figli dovrebbero essere fatti in giovane età ma è in realtà la nostra stessa società a non permette di farlo nel momento più adatto (questo dovrebbe aiutare a non sentirsi in colpa per questo. Altro aspetto importante è il senso di invidia, un sentimento normale, che non va negato ma elaborato e reso un qualcosa di utile a livello individuale e di coppia.
Nelle appendici la dottoressa sceglie di riportare le interviste di altri soggetti che sono comunque interessati dal percorso di PMA, una ginecologa che racconta la propria esperienza nell’aiutare le coppie infertili a raggiungere il loro sogno, spesso i ginecologi sono subissati da richieste di certezza del risultato che purtroppo il medico non può dare e la dottoressa ha ritenuto importante e interessante far conoscere alle coppie anche quello che accade dall’altra parte della barricata quando si parla di fecondazione assistita, per poter in qualche modo riuscire anche a migliorare il rapporto medico paziente; viene riportata poi l’esperienza di una donatrice italiana che ha fatto questa scelta per un gesto altruistico e soprattutto perché aveva vissuto da vicino l’esperienza di un’amica infertile che le ha fatto nascere il desiderio di poter aiutare delle coppie che con una cellula avrebbero potuto raggiungere il proprio sogno, ancora viene riportata esperienza di una donna diventata mamma grazie alla fecondazione omologa ed eterologa, proprio per raccontare cosa succede ad una donna che attraversa le entrambe le esperienze, si ritrova poi l’intervista ad uno psicologo esperto di PMA per fornire indicazioni più precise in merito a quella che è la formazione degli esperti di questo argomento che si aggiornano continuamente sul tema. Infine è riportato un sondaggio svolto dalla dottoressa tra i medici che si occupano di fecondazione assistita per dare ai pazienti una visione di chi c’è dall’altra parte.
Le reazioni che si possono manifestare in questa circostanza sono diverse, quando si apprende che quella indicata è l’unica opzione, la prima reazione che pervade la coppia è quella di vero e proprio terrore unito ad una forte ansia, perché si manifesta il senso di colpa, soprattutto nella donna che non potendo ricorrere all’utilizzo dei propri gameti, si sente in un certo qual modo “difettosa”. A tal proposito, la prima cosa su cui vorrei venisse posta l’attenzione, è che la nostra identità non è definita dalla nostra capacità riproduttiva, non è l’infertilità o la fertilità che ci definisce come persone; indubbiamente si tratta di emozioni lecite e che si presentano in molte coppie unitamente alla paura di non riuscire ad ottenere il risultato sperato anche ricorrendo alla donazione di gameti (perché purtroppo anche questa tecnica , sebbene aumenti la probabilità di riuscita rispetto ad un’omologa, in particolare dopo una certa età, non dà la certezza della riuscita).Un’altra paura ricorrente è quella di non riuscire a sentire come proprio un figlio con cui non si ha un vero legame genetico e che si possa non avere l’istinto materno nei confronti di un bambino che non ha il proprio DNA; di fronte a questi dubbi, il mio compito come psicoterapeuta, non è tanto quello di spingere la coppia ad accettare questo tipo di tecnica, quanto quello di far vedere loro questa esperienza da una diversa prospettiva chiarendo che la genetica non garantisce una relazione migliore con il proprio figlio così come che l’amore non è influenzato dal legame biologico; noi ad esempio amiamo il nostro partner con il quale non abbiamo un legame biologico mentre capita spesso che tra parenti non si instaurano grandi relazioni d’amore, questo ad ulteriore riprova del fatto che la genetica non ci garantisce un miglior equilibrio anche a livello emotivo. Un altro esempio di quanto appena detto, è il legame affettivo e di vero e proprio amore che siamo in grado di creare con gli animali che, pur appartenendo ad una specie diversa dalla nostra, diventano parte integrante della nostra vita tanto da essere considerati veri e proprio componenti del nucleo familiare. Le paure di cui abbiamo fino ad ora parlato inoltre, ho riscontrato , nella mia esperienza che appartengono anche alle donne che hanno figli in modo naturale e che durante la gravidanza si accorgono di non riuscire ancora a provare, nei confronti del bambino, quell’amore viscerale che gli altri raccontano come caratteristico di questa esperienza domandandosi spesso se riusciranno mai provarlo; a questo proposito è bene chiarire che l’amore, è un sentimento direttamente proporzionale alla relazione che noi instauriamo con l’altra parte de in questo caso, con il bambino nel grembo ancora non abbiamo stabilito una relazione reale ma solo immaginata che si concretizza solo tramite le ecografie, di conseguenza capita spesso che ci siano donne o coppie che semplicemente necessitano di più tempo per vedere il concretizzarsi di questo tipo di relazione e non dobbiamo assolutamente preoccuparci che questo accada.
Questa domanda è piuttosto complessa, va sottolineato che compito della coppia è anche accettare che in un percorso di questo tipo spesso le due parti non si trovino esattamente nella stessa fase di scelta nel medesimo momento; suggerirei in primo luogo di accogliere e capire quali sono le paure del partner e, in casi un po’ più complessi, capire quanto il progetto genitoriale sia fondamentale all’interno della coppia per poter comprendere come far sì che questo progetto non diventi l’unico elemento di unione per la stessa, avendo necessità questa di rilanciare continuamente nuovi progetti per rinvigorire ed evolvere crescendo in maniera equilibrata. Il primo consiglio che mi sentirei di dare a questa coppia è di prendersi un po’ di tempo ed accogliere le difficoltà che il marito riscontra cercando di comprendere bene quali siano poiché, a volte, queste nascono da meri pregiudizi; per questo è importante fare una scelta consapevole e ciò significa ricorrere all’aiuto di professionisti che possano spiegare, sia da un punto di vista medico che da un punto di vista psicologico che cosa significa la fecondazione con donazione di gameti.
Ci terrei inoltre a precisare che questo tipo di tecnica è sempre esistito e se ne trovano tracce già nell’antica Roma, dove era conosciuta con il nome di “locatio ventris”, questo a riprova del fatto che l’essere umano ha sempre cercato di trovare una soluzione all’infertilità. Anche in Italia, prima delle legge 40 del 2004 si praticava la fecondazione con donazione di gameti; in letteratura è presente una pubblicazione scientifica di The Lancet del 1986 relativo ad una fecondazione con ovodonazione effettuata in Italia, io stessa ho rintracciato i medici che effettuavano questa procedura,(che non essendo sottoposta ad alcuna legge poteva essere effettuata e si trattava prettamente di pratica con donazione di seme poiché più semplice ) ed abbiamo calcolato che, tra il 1986 e il 2004 nel nostro paese, si è avuto un totale di 300.000 bambini nati con fecondazione con donazione di gameti; se ne ha poca conoscenza perché al tempo i medici, data la novità della tecnica usata, suggerivano alle famiglie di non dare informazioni in merito al modo tramite il quale erano riusciti ad avere la gravidanza, solo più avanti si è compreso che, non solo non ci fosse niente da nascondere nella scelta di ricorrere a questa tecnica ma anche l’importanza di fornire questa informazione stante la necessità di fare crescere il proprio figlio accogliendo questa “diversità”, (laddove diverso non va inteso come inferiore a qualcos’altro) e senza doversene vergognare; è quindi alto il numero di coppie che fanno ricorso oggi ed hanno fatto ricorso a queste tecniche in passato senza al tempo, averne specifiche conoscenze. Nei vari incontri avuti negli anni mi è stato possibile relazionarmi anche con una ragazza nata in Italia tramite questo metodo; durante un’intervista lei stessa ha sottolineato di essere addirittura grata all’infertilità del padre, in assenza della quale i due gameti che l’hanno generata, non si sarebbero mai incontrati impedendole di nascere, questo dimostra che la qualità della relazione familiare è direttamente proporzionale a quanto la famiglia abbia realmente accettato questa tecnica, maggiore è la difficoltà nell’accettare questa opzione, maggiormente si instillerà nel figlio l’importanza del legame biologico.
E’ importante inoltre far ben comprendere alle coppie la differenza esistente tra fecondazione assistita con donazione di gameti e adozione; siamo di fronte a due esperienze completamente diverse che non possono essere equiparate, nell’adozione infatti esiste un progetto genitoriale che viene interrotto, esistono dei genitori ed esiste un lutto da abbandono che deve essere gestito, nella fecondazione assistita con gameti ci sono dei donatori che vogliono rimanere tali proprio per questo trovo personalmente non corretto che si parli spesso dell’esistenza di una madre biologica, perché non c’è una relazione che definisce questo rapporto, sarebbe più corretto parlare di donatrice.
Credo che sarebbe importante ed utile guardare un’esperienza come quella indicata, sotto una diversa ottica, accogliendo il senso di lutto che deriva da un’esperienza come questa; prendersi del tempo in una circostanza simile, è molto importante per elaborare il lutto di un aborto, “per leccarsi le ferite” potremmo dire attingendo da un gergo più comune, e capire ciò che si può e si vuole fare. In un momento in cui le emozioni sono così forti il mio consiglio è sempre quello di fermarsi un attimo; comprendo che il tempo della fecondazione medicalmente assistita è un tempo difficile perché richiede di fare i conti con la biologia ma il tempo che possiamo utilizzare per metabolizzare e riflettere è un tempo prezioso; se non coincidono i tempi della medicina con quelli psicologici diventa difficile affrontare i passaggi successivi e spesso le coppie vanno avanti pur vivendo delle emozioni e un dolore molto forti mentre necessario trovare un corretto equilibrio. Ciò che è in realtà importante fare, per tornare alla domanda in oggetto, non è tanto rimanere motivati, ma accettare le sensazioni che derivano da un avvenimento simile e andare loro in contro accogliendole, perché proprio dall’accoglimento di quelle sensazioni e dall’elaborazione di quel lutto saremo in grado di decidere che cosa fare; alcune coppie decidono ad esempio di aspettare qualche mese e prendersi un po’ di tempo per loro per poter capire dove posizionare esattamente il progetto genitoriale, un progetto meraviglioso che però, ci tengo a ricordare, non può essere l’unico; la nostra vita deve essere fatta anche di altri progetti generativi poiché non possiamo definirci solo attraverso il realizzarsi della genitorialità, dobbiamo avere innumerevoli diversi progetti che diventeranno per noi il carburante necessario al fine di affrontare altri eventi che potrebbero verificarsi nella nostra vita tra cui, magari, anche un’eventuale procedura di fecondazione assistita che richiede tantissime energie ed una forza incredibile.
Si, certamente, ma è importante capire che queste coppie erano felici anche prima di intraprendere un percorso come quello della fecondazione; dobbiamo comprendere che la nostra felicità deve essere indipendente dalla presenza o meno di un figlio, in caso contrario rischiamo di far ricadere su quest’ultimo un peso enorme; le coppie che hanno optato per la fecondazione con donazione di gameti sono indubbiamente coppie che hanno lavorato su loro stesse e che hanno accettato questo percorso e le loro resistenze poiché è certo che questo tipo di percorso non può essere intrapreso da tutti così come il processo adottivo o di fecondazione medicalmente assistita. Ciò che è importante comprendere è che la nostra felicità deve essere indipendente dal progetto genitoriale, deve essere presente già precedentemente all’idea di intraprendere questo percorso dato che sicuramente se una coppia si sosteneva in precedenza con un “collante” non così forte, i problemi che avevano saranno comunque ancora presenti ed anzi verranno probabilmente centuplicati di fronte ad una scelta di questo tipo. Nel centro con il quale collaboro, cerchiamo di accompagnare la coppia durante tutto il percorso, per comprendere se questo progetto genitoriale è ricompreso all’interno di un progetto di coppia ben equilibrato e talvolta questo cammino fa sì che emergano alcune criticità tali , in alcuni casi da portare alla separazione della coppia stessa; questo avvenimento è indubbiamente doloroso ma è indubbiamente meglio che si verifichi prima di intraprendere una strada così complessa come quella della fecondazione per evitare di arrivare a separarsi poi in un secondo momento; la maggior parte delle coppie comunque hanno precedentemente lavorato su loro stesse arrivando ad affrontare questa decisione nella maniera migliore. L’esperienza della genitorialità, ricordiamolo, non è meno bella se raggiunta utilizzando una strada diversa da quella che avevamo immaginato.
Premesso che per poter intraprendere un tipo di percorso come quello in oggetto è necessario firmare un consenso informato da parte della coppia e che in Italia non è possibile intraprenderlo da single, sarebbe importante domandarsi perché si palesi una tale necessità, direi che sarebbe utile comprendere prima di tutto, su quali basi si poggi il rapporto di una coppia in cui c’è questa esigenza di non condividere un progetto così importante e riflettere magari in prima istanza su questo. Detto ciò è necessario ed importante ricordare che in Italia ad oggi per poter procedere con questa tecnica è sempre richiesto il consenso del marito o del compagno (poiché non è necessario essere sposati ma è sufficiente essere conviventi).
In questo caso vorrei rispondere con un’ulteriore domanda: come rispondereste se il figlio di cui stiamo parlando avesse un legame biologico con voi? Queste domande sono infatti le stesse che vengono poste in relazione ai figli nati in maniera naturale poiché non tutti i figli che nascono all’interno di un nucleo familiare si somigliano o somigliano a entrambi i genitori; il fatto invece che queste domande vengano interpretate e definite “scomode” ci è utile per capire dove siamo esattamente nel nostro processo di accettazione di questo percorso, talvolta ciò di cui abbiamo bisogno è solo del tempo per abituarci a questa specifica situazione, ci renderemo conto, con il passare dei mesi che queste domande ci daranno sempre meno fastidio, se poi ritenessimo proprio necessario fornire una risposta a chi ci fa queste domande potremo sempre dire che nostro figlio somiglia, fortunatamente, a se stesso ed è proprio questo che li rende unici.
Se un’eventuale attività fisica è qualcosa che ci piace che ci fa sentire bene e ci soddisfa, assolutamente si. Spesso le coppie si perdono nel progetto genitoriale perdendo di vista il fatto che per gestire la vita in generale è importante non perdere di vista le nostre passioni e seguirle. Ognuno di noi deve trovare e scoprire i propri talenti, questo è importante sia perché quando affrontiamo un percorso di fecondazione assistita abbiamo bisogno di molte energie e dobbiamo recuperarle e trovarle nelle altre esperienze che facciamo, sia per far sì che il progetto genitoriale non sia l’unico progetto su cui focalizzarsi; proprio per questo spingo le coppie che seguo a trovare nuovi progetti generativi ed in questo senso amo definirmi una cacciatrice di talenti; spesso scopro che le coppie perdono di vista quali sono le cose che li rendono felici sia individualmente che insieme mentre è fondamentale trovare qualcosa che ci appaghi, qualunque essa sia, ed ognuno di noi deve trovare il proprio talento da sviluppare, ciò che rileva è l’essere generativi perché la generatività nella vita è contagiosa e in un progetto generativo, magari, potrebbe anche portarci fortuna dato che, indipendentemente da come si concluderà il percorso comunque ci rimarrà qualcosa, magari proprio quel talento che avevamo perso di vista.
Il percorso della fecondazione è un percorso particolare e deve essere affrontato un po’ come viene insegnato nelle arti marziali, con la consapevolezza di accettare l’eventualità del fallimento perché anche quest’ultimo è importante e ci permette di acquisire un insegnamento che ci sarà utile nella vita, è importante iniziare questo percorso partendo dal presupposto che un eventuale fallimento non deve essere inteso come un avvenimento negativo bensì come qualcosa che ci darà indicazioni su quello che dobbiamo fare, il migliore consiglio che quindi mi sento di dare è non tanto quello di concentrarsi sul raggiungimento di un risultato positivo, quanto far sì che questo percorso possa insegnarci qualcosa indipendentemente dal fatto che si possa concludere con una gravidanza.
Questa domanda spesso se la pongono le donne che intraprendono un percorso di fecondazione assistita e nel momento in cui arriva il bambino si accorgono magari della fatica che può derivare dall’arrivo di un bebè, innanzitutto direi che la cosa primaria è smettere di farsi questa domanda e cercare semplicemente di essere la madre migliore possibile con gli strumenti e con le possibilità che si hanno e anche accerchiandosi delle persone che possono essere di supporto nella crescita di un figlio a tal proposito vorrei ricordare un detto africano che recita: “per crescere un figlio ci vuole un intero villaggio”. La domanda che questa mamma si pone dipende spesso da una società in cui si è purtroppo fortemente individualisti e non ci si aiuta più come una volta, è quindi importante creare una struttura ed una rete affettiva amicale e familiare che renda le donne meno idonee, è importante che i figli stiano a contatto con tante persone, invito quindi la nostra paziente a usufruire dell’aiuto che trova attorno a sé e a smettere di farsi questa domanda , concentrandosi semplicemente nel dare il massimo, con amore e passione , perché questo è quello che i figli chiedono.
Spesso si considera il percorso della fecondazione assistita, solo appannaggio della donna, in realtà il problema dell’infertilità è un problema di coppia anche quando ad essere infertile è uno solo dei componenti, non siamo in grado di riprodurci in maniera autonoma; il partner deve essere coinvolto per potersi dividere i pesi di un percorso e di un progetto che è di COPPIA, nei miei percorsi ad esempio invito i partner ad aiutare la donna in tutto il percorso di medicalizzazione ad esempio nel fare le iniezioni, la coppia deve lavorare considerandosi una squadra che lavora per il medesimo obiettivo, si deve parlare e non avere paura di esprimere anche delle esigenze come in taluni casi quella di stare da sola o al contrario di coinvolgere il marito, solitamente suggerisco di coinvolgere il marito anche nel transfer, (ove possibile); la GENITORIALITA’ è di coppia anche se spesso si ritiene che la maternità e l’intervento riguardano maggiormente la donna perché è lei che si fa le iniezioni, è lei che partorisce, ma è importante comprendere che anche gli uomini vivono questa esperienza in differita e addirittura in alcuni casi ci sono studi che dimostrano che all’inizio di una gravidanza gli uomini hanno le nausee o aumentano di peso tanto quanto le loro compagne.
È una domanda che si pongono moltissime coppie, innanzitutto è importante che la coppia non abbia solo un progetto genitoriale, le coppie per poter sopravvivere hanno bisogno di rilanciare nuovi progetti, necessitano di una realizzazione dell’io e di una realizzazione di coppia che rappresenta il noi, senza una precedente realizzazione in tale ambito, il progetto genitoriale può diventare totalizzante e assoluto e la coppia può rischiare la rottura, invito quindi la coppia a trasformare questa esperienza negativa in qualcosa di generativo, cominciando a pensare quali sono e quali potrebbero essere altri tipi di progetti oltre a quello genitoriale che non deve eventualmente essere abbandonato, ciò che è importante è fare in modo di creare il miglior modo possibile che accoglierà il bambino e questo è possibile se la coppia è realizzata su più fronti, il figlio non può diventare la soluzione del problema, la coppa deve essere pronta precedentemente e deve lavorare in modo tale da garantire la presenza di altri progetti realizzativi oltre a quello genitoriale, in caso contrario la coppia diventerà una sorta di piantina secca in cui manca il fertilizzante rappresentato dai progetti evolutivi della coppia.
Innanzitutto bisogna cercare di capire perché quello che ci dicono le altre persone ci influenza così tanto, capire il significato proprio della loro capacità di influenzarci, per rimanere fiduciosi è necessario per prima cosa capire quanto è importante il progetto genitoriale e viaggiare dritti lungo la propria strada e comprendere che invece di ascoltare quello che ci dicono le altre persone dobbiamo capire che cosa veramente vogliamo fare per raggiungere quel determinato obiettivo, indubbiamente provare ad avere un figlio superati i 40 anni di età è più difficile ma non impossibile e quindi ciò che è importante fare è basarsi su dati di realtà, sentire un medico e capire quali sono le possibilità, dare ascolto a tutte le informazioni e i feedback legati alla possibilità di ottenere il risultato sperato, che possono essere forniti da professionisti del settore.
Purtroppo nei percorsi di fecondazione assistita, ma in generale quando si sceglie di avere un figlio dopo una certa età, questa è un’evenienza abbastanza comune; per superare questi eventi difficili la prima cosa è non pensare che il dolore sparisca subito, per superare il dolore bisogna viverlo. Gli antichi romani avevano i LACRIMATOI, perché si dovevano piangere tutte le lacrime che poi venivano donate alla divinità, questo significava la necessità di passare attraverso il dolore ma dare un senso a quelle perdite e far sì che possano diventare il monito per capire quale strada vogliamo percorrere per raggiungere un obiettivo, inoltre la coppia non deve avere come unico progetto di realizzazione quello genitoriale, è necessario infine darsi tempo e nei casi in cui si dovesse pensare che non ci sia soluzione, avvalersi di un supporto psicologico diventa necessario per poter dare un significato a quello che è accaduto e comprendere qual’è la strada giusta per noi .
Ognuno di noi dovrebbe essere sicuro di se stesso senza aver bisogno di essere definito dagli altri, ci si deve allenare ad affrontare anche situazioni simili a quelle che la paziente descrive, allenandosi magari sulle risposte da dare a queste persone che spesso sono molto invadenti, talvolta anche mettendo una distanza tra noi e le persone che fanno queste domande, non dimentichiamo che il progetto genitoriale è sicuramente un progetto bellissimo, ma esistono moltissime persone che si sono pienamente realizzate pur non avendo raggiunto l’obiettivo della maternità, si può rimanere forti rendendosi conto che la vita ci dà moltissime opportunità, la fecondazione assistita è una di queste , ma la genitorialità può essere vissuta in tanti modi , anche in modi che magari prima non erano stati presi in considerazione , non si deve in conclusione dare ascolto a chi vuole ferirci magari solo per sentirsi importante o perché non è in grado di comprendere l’argomento nella sua complessità e quindi non sa in realtà di cosa parlare.
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