Dott. Catello Scarica
Direttore di Laboratorio IVF presso European Hospital, New Fertility Group
Categoria:
Congelamento degli ovociti, Donazione di ovociti, Età materna avanzata, Trasferimento di Embrioni
In questa sessione moderata dall’ing. Stefano Urbani, il Dott. Catello Scarica, Direttore di Laboratorio FIV presso European Hospital Roma & Co-Fondatore di New Fertility Group, ha spiegato i criteri di selezione per donatori e donatrice e quali sono le strategie per effettuare con successo la fecondazione assistita con ovociti donati.
Il quadro normativo nel quale ci si muove in Italia in merito all’argomento è piuttosto complesso, dal 2014 è possibile avvalersi dell’uso di gameti esterni alla coppia nei casi di sterilità, e con le successive linee guida del 2015 è stata regolamentata sia l’ovodonazione che la donazione di seme; è possibile avere anche donatori italiani sebbene nella quasi totalità dei casi ci si avvalga di donatori da paesi esteri. Nonostante la complessità del quadro normativo, in Italia è comunque possibile avvalersi di qualsiasi tecnica per l’ovodonazione o la donazione di gameti in generale.
Per INFERTILITÀ’ si intende la condizione nella quale la coppia non riesce ad ottenere una gravidanza clinica in seguito ad almeno 12 mesi di rapporti con frequenza regolare e non protetti, e generalmente è una condizione superabile. La sterilità è invece una condizione in cui uno o entrambi i coniugi sono affetti da una condizione fisica permanente che non rende possibile la procreazione; ne deriva uno stato permanente di infertilità e in questi casi la coppia deve necessariamente accedere ai programmi di ovodonazione o di doppia donazione con la donazione anche di gameti maschili.
In Italia è legalmente riconosciuto e autorizzato l’accesso alle tecniche di PMA con donazione di GAMETI, come previsto dalla sentenza 16/2014 della Corte Costituzionale, in tutti i casi in cui è presente la condizione irreversibile di sterilità o di infertilità assoluta; è possibile però ricorrere a questa tecnica rispettando i principi di gradualità delle tecniche a cui si accede, nel caso specifico dell’ovodonazione si fa ricorso alla tecnica di secondo livello ovvero l’inseminazione degli ovociti in vitro.
Il donatore è un soggetto che si sottopone in maniera spontanea, altruistica e, nel nostro paese anonima, alla donazione dei propri gameti; il donatore maschile deve avere per previsione legislativa un’età compresa tra i 18 e i 40 anni mentre le donatrici femminili tra i 20 e i 35 anni, il motivo per il quale per le donatrici il limite è fissato a quest’età è legato al depauperamento della qualità ovocitaria che è fisiologico nel genere umano e fa sì che si renda necessario utilizzare ovociti di donatrici più giovani. Possono essere donatori anche pazienti che si stanno sottoponendo ad un trattamento di donazione a loro volta condividendo i loro ovociti, si tratta di una pratica chiamata EGGSHARING ma non viene spesso utilizzata in quanto la maggior parte delle pazienti che si sottopone a fecondazione in vitro ha un’età superiore a 35 anni, infine possono essere donati anche gameti in precedenza congelati da pazienti che non ne necessitano più, per sopraggiunti limiti di età o perché magari hanno già ottenuto una gravidanza, completando così il proprio processo di genitorialità.
Un aspetto importante è quello relativo al metodo in cui vengono selezionati i donatori; l’approccio a questa scelta non è una procedura banale, si tratta di un approccio di tipo interdisciplinare operato principalmente dal ginecologo e dall’endocrinologo, o dall’urologo nel caso di donazione maschile, in collaborazione con uno psicologo ed un medico genetista e che si avvale delle competenze di biologi per tutta la parte relativa alle procedure di laboratorio; l’interazione di tutte queste figure professionale porta a compiere tutta una serie di operazioni di screening sulla candidata/o donatrice/ore che deve superare una serie di controlli molto importanti prima di poter procedere al programma di donazione.
La prima valutazione che viene effettuata è quella relativa all’aspetto psicologico del donatore per capire qual è il motivo per cui si fa questa scelta, l’approccio psicologico è molto importante soprattutto per far sì che vi sia, da parte del donatore, la completa consapevolezza di quello che significa donare un proprio gamete. La parte ginecologia o endocrinologica si occupa di valutare la preparazione necessaria per ottenere gli ovociti in numero giusto. È importante infatti che nel momento in cui la paziente viene sottoposta a stimolazione ovarica questa non si eccessiva e non si ottenga un numero di ovociti troppo alto, questo perché nel programma di ovodonazione si devono tenere in considerazione gli interessi di due lati, quelli della coppia ricevente e al contempo quelli della donatrice che essendo molto giovane deve comunque essere tutelata e ne deve essere garantita la sicurezza, i controlli ginecologici ed endocrinologici badano a tutta una serie di parametri importanti per effettuare una stimolazione efficace, che dia quindi un numero giusto di ovociti e che al contempo non sia troppo eccessiva per non mettere in pericolo la donatrice e per evitare al contempo che il loro numero possa andare ad influire sulla loro qualità. Il genetista si occupa invece dello screening di una serie di patologie che viene richiesta per normativa, come ad esempio l’x fragile, la beta talassemia e la fibrosi cistica e indaga per capire se tra i parenti più prossimi della donatrice possano essere presenti patologie che potrebbero essere rischiose per una eventuale progenie, generalmente la presenza di queste patologie e sempre ben evidente ad un’analisi dell’albero genealogico della paziente, in questo modo è possibile avere già un’idea di quelle che possono essere eventuali criticità di patologie che si presentano solo ed esclusivamente se quella mutazione è presente anche nel partner maschile; a questo si può aggiungere uno screening di analisi di circa altri 300/400 geni che sono legati a fenotipi molto più rari ma che possono comunque dare informazioni al riguardo, tutto questo permetterà di fornire alla donatrice un certificato di idoneità per entrare nel programma di ovodonazione. I biologi hanno un ruolo importante non solo nella selezione dei gameti ma anche nel processo in laboratorio, nella fase di congelamento e di stoccaggio e nel matching con la ricevente, questo avviene prevalentemente basandosi sul gruppo sanguigno, poiché dalla combinazione dei gruppi sanguigni di marito e moglie può esserci un solo gruppo derivante, e in base alle caratteristiche fisiche che devono rispettare il fenotipo della coppia ricevente.
Nella slide fornita dal Dottor Scarica, possiamo vedere l’elenco degli esami che vengono richiesti per legge ovvero tutti quelli relativi al profilo infettivologico, il gruppo sanguigno e il profilo RH, e le analisi chimico-cliniche di base. I gameti prima di essere introdotti nel programma di ovodonazione devono essere testati per gli esami sopra elencati pertanto o vengono sottoposti ad una quarantena di 180 giorni e poi si eseguono nuovamente gli esami sulla paziente avendo così la certezza che non siano presenti determinate patologie oppure si effettua un test più approfondito con una tecnica di amplificazione nucleica ( si tratta di un’analisi molecolare che va a ricercare la sequenza di un determinato virus all’interno del siero della paziente donatrice) per HIV, HBV e HVC che viene effettuato due o tre giorni del pick-up; tutto questo garantisce di avere un programma di ovodonazione sicuro sia per la paziente ricevente che per la donatrice.
Il motivo per cui si ricorre sempre più spesso all’ovodonazione risiede principalmente nella tendenza dell’occidente a posporre il momento della gravidanza o della ricerca di quest’ultima, lo slittamento in avanti del momento in cui si cerca di avere un figlio coincide con il depauperamento degli ovociti all’interno dell’ovaio e con un accumulo degli errori dal punto di vista cromosomico all’interno degli ovociti stessi; questo si tradurrà in un errore negli embrioni che si andranno a formare e quindi in una maggiore difficoltà nell’ottenimento di una gravidanza; se prendiamo a riferimento i dati recuperati dai centri di pma americani relativi ai tassi di natalità, è possibile vedere che la percentuale di bambini nati vivi passa da un 40% nelle pazienti al di sotto dei 35 anni, ad una percentuale di circa il 2 / 3 % di probabilità di ottenere una gravidanza a termine con i propri ovociti superati i 44 anni; questa drastica diminuzione riflette quello che è il meccanismo fisiologico dell’ovogenesi e della follicologenesi all’interno dell’ovaio.
Non esiste alcun limite di tipo giuridico per poter ottenere gameti da donatrici italiane in maniera spontanea ed anonima, (non è possibile donare fra consanguinei, parenti o amici proprio per garantire l’anonimato) tuttavia i 10 anni di divieti conseguenti alla legge 40 del 2004 hanno fatto sì che in Italia ci siano pochi donatori e che questa procedura sia comunque disincentivata, questo anche perché l’impianto normativo vigente prevede che si possa effettuare ovodonazione oppure donazione di gameti maschili, ma per quanto riguarda l’ovodonazione, la donatrice candidata dovrebbe teoricamente sottoporsi ad una stimolazione ovarica a un prelievo di ovociti e a tutto quello che ne consegue senza ottenere alcun rimborso ma soprattutto pagando personalmente i farmaci e il processo di stimolazione e questo è fortemente disincentivante nei confronti di chi, pur volendo altruisticamente fare questa scelta, non ha possibilità di sostenere le spese; questo porta a scegliere di rivolgersi sempre più spesso a centri esteri. La banca estera alla quale si decide di rivolgersi ( dal 2014 i tassi di gravidanze ottenute seguendo questa procedura sono stati altissimi ) è in grado di produrre i gameti di donatrici che siano compatibili con tutte le caratteristiche richieste dalle riceventi e provvede ad inviarli al centro italiano dove verranno scongelati affinché possano essere utilizzati dalla coppia; a questo punto si possono scegliere due diverse strategie, nel primo caso la banca estera produce gli ovociti della donatrice, che vengono “matchati” e selezionati per una specifica coppia ricevente e li spedisce al centro italiano, che solitamente ha un contratto di collaborazione con il centro che invia e seleziona i gameti; una volta effettuato il matching tra donatore e ricevente, gli ovociti vengono verificati nella banca estera e inviati in Italia, una volta giunti al centro vengono scongelati e viene effettuata l’inseminazione con il seme del partner (Nel 99% dei casi si parla di procedura ICSI) infine si effettua il ciclo di trattamento. L’altra strategia, che ha preso piede negli ultimi tempi e viene seguita anche nel centro dove opera il Dottor Scarica, prevede che il matching tra la coppia ricevente e l’ovocita della donatrice venga fatto a monte, nel centro italiano viene congelato il seme del marito e poi si procede con l’invio alla banca, quest’ultima lo scongela e utilizza gli ovociti della donatrice, quasi sempre a fresco, e si effettua la ICSI, si procede poi con la produzione delle blastocisti che vengono vetrificata e spedite al centro italiano, una volta arrivate vengono scongelate e si procede al transfer.
Con il termine ICSI (acronimo di inseminazione intracitoplasmatica degli spermatozoi) si intende la procedura con la quale si procede all’inserimento dello spermatozoo nell’ovocita, lo spermatozoo può appartenere al partner o, in caso di doppia donazione può essere di un donatore esterno.
Ogni anno il registro PMA deve fornire una relazione insieme all’istituto superiore di sanità al ministero della salute, nello schema che illustra il Dottor Scarica possiamo vedere i dati relativi alla distribuzione dei cicli di ovodonazione; la maggior parte di questi si è svolta in diverse regioni quasi sempre in centri privati che sono quelli più specializzati e che hanno un maggior approvvigionamento di gameti dall’estero, (anche alcuni centri pubblici riescono ad aver approvvigionamenti di gameti per eterologa attraverso bandi pubblici). Alcuni dati indicano le percentuali delle motivazioni che portano le coppie a ricorrere alla donazione di gameti femminili, per la maggior parte si tratta di pazienti ancora in età riproduttiva ottimale che però per cause iatrogene o per ripetuti tentativi di impianto falliti o addirittura per ripetuti aborti, si sono dovute rivolgere a centri specializzati in riproduzione con ovodonazione. Sempre dai dati del registro nazionale PMA è possibile vedere che le percentuali di gravidanza su transfer sono sempre soddisfacenti in tutte le fasce di età e nei centri in cui si opera tramite la tecnica dello “sperm freezing” (crioconservazione dello sperma) danno dei tassi di gravidanza cumulativa ottimi.
Il dottor Scatena illustra i dati di uno studio secondo il quale è preferibile eseguire la ICSI su ovociti donati a fresco rispetto a quelli vitrificati che fornisce dati relativi al tasso di life Birth (tasso di natalità), cioè di bambini nati vivi, superiore negli ovociti usati a fresco, tuttavia lo studio in oggetto risulta limitato dal non aver valutato i valori relativi alla gravidanza cumulativa ovvero la valutazione su tutta la corte di embrioni che si sono formati dai vari cicli e potrebbe nascondere un effetto di non inferiorità degli ovociti vitrificati rispetto agli ovociti a fresco per embrioni che sono rimasti congelati per fare un eventuale secondo transfer, includendo questi valori magari si otterrebbe il medesimo risultato ma con un transfer in più. E’ bene sottolineare questo aspetto perché se si propone la fecondazione con ovociti a fresco come la tipologia migliore questo è sì vero ma sulla base di dati che al momento non possono confermare in maniera univoca che sia effettivamente così, funziona benissimo anche il trasferimento di ovociti vetrificati.
Il Dottor Scatena riporta uno studio che prende in analisi quasi 28000 cicli di ovodonazione in pazienti di tutte le fasce di età, che va a valutare come la stratificazione per età dia una life Birth, cioè la percentuale di bambini nati vivi al termine di un programma di ovodonazione, abbastanza alta, intorno al 55% e non sembrano esserci differenze rilevanti se si valuta per divisione semplice in fasce di età, questo stesso studio però fa un ulteriore valutazione tecnicamente detta regressione logistica in base alla quale si controllano i fattori confondenti uno per uno per vedere se esiste un effetto di un determinato fattore in determinate condizioni che viene mascherato dall’analisi globale e si nota che, analizzando età per età con tutti i fattori che possono confondere l’analisi corretta, nella fascia di età 47/49 si ha una diminuzione del tasso di gravidanze a termine con bambino nato in braccio, in particolare per i 48 anni; questo è dovuto soprattutto al fatto che la paziente in età materna avanzata ha già di per sé un rischio maggiore dovuto al fatto che spesso si ricorre al trasferimento di due embrione in terza giornata, esponendola al rischio di gravidanza gemellare e questo espone a sua volta tutta una serie di rischi che dovrebbe in realtà far propendere per il trasferimento di un singolo embrione per volta per garantire la sicurezza della paziente, che deve essere posta al centro dell’attenzione nel corso di tutto il procedimento; questo inoltre permetterebbe di non dover andare incontro a situazioni che potrebbero determinare alti costi in termini emotivi ed anche economici per la gestione della gravidanza. In un recente studio del 2021 si è riscontrato un aumento dei rischi di ipertensione e preeclampsia che risulta fortemente ridotto nei casi di gravidanza singola a ulteriore conferma dell’importanza di eseguire singoli embriotransfer; esistono poi delle strategie terapeutiche preventive, come ad esempio le bassi dosi di aspirina che spesso si danno anche prima dell’inizio di una gravidanza da ovodonazione , che possono eliminare o ridurre al minimo l’insorgenza di preeclampsia nelle pazienti in età materna avanzata anche dopo i 44 anni. La gravidanza da ovodonazione è sicuramente di per sé una gravidanza più delicata e rischiosa per tanto è necessario fare ricorso, per intraprendere questo tipo di cammino, ad un centro specializzato che deve necessariamente avere strutturata anche una connessione con un ospedale per il parto poiché anche l’unità dove la paziente si recherà per partorire dovrà essere altamente specializzata per eventuali rischi di complicanze che sono strettamente correlati all’età più avanzata delle pazienti che si rivolgono all’ovodonazione e al fatto che molte volte si trovano a dover gestire una gravidanza gemellare.
E’ possibile quindi concludere che quando si decide di intraprendere un percorso di ovodonazione è importante rivolgersi ad un centro che abbia molta esperienza per quanto riguarda l’ovodonazione stessa, che abbia delle tecnologie molto avanzate anche dal punto di vista degli incubatori, che sia altamente performante e abbia esperienza nel tipo di coltura e che possa garantire dei buoni tassi di blastocisti. La blastocisti è lo stadio più avanzato di sviluppo embrionale che si può ottenere all’interno degli incubatori e ci permette di valutare meglio quale embrione trasferire da solo perché nei casi in cui si decide di effettuare il trasferimento in terza giornata, a questo stadio gli embrioni si assomigliano un po’ di più e non è semplice sapere quale, tra quelli disponibili, avrà più probabilità di fermarsi e per questo a volte si sceglie di trasferire due embrioni in forza dell’incertezza su quale dei due procederà nel suo sviluppo, statisticamente il 50 % degli embrioni che sono pronti in terza giornata diventano blastocisti e quindi almeno uno su due probabilmente potrebbe arrestare il suo sviluppo ma questo non è certo di conseguenza la strategia di arrivare a blastocisti ci permette di selezionare meglio il singolo embrione da trasferire.
La letteratura ci dice che il ricorso ad un parto cesareo è quello che solitamente viene prediletto nei casi di ovodonazione, ciò non toglie che si possa comunque ricorrere ad un parto naturale, questo dipende principalmente dalle condizioni cliniche generiche della paziente, dovranno essere presi in considerazione tutta una serie di parametri come la pressione o la settimana di gestazione in cui ci si trova all’arrivo delle contrazioni. Esiste quindi la possibilità che venga eseguito un cesareo ma non è l’unica opzione.
No, specifichiamo intanto che una paziente in età materna avanzata non è una paziente vecchia; l’età materna inizia in una fase molto giovane della vita di una donna perciò, superati i 35 anni si parla già di età materna avanzata, superati i 38 siamo in piena età materna avanzata sebbene ancora giovani. Con l’aumentare dell’età, si accumulano gli errori cromosomici all’interno degli ovociti e diminuisce il numero di questi ultimi anche se, ovviamente, ogni caso deve essere valutato singolarmente. La probabilità di utilizzare i propri ovociti in età materna avanzata, parlando di una paziente di età compresa tra i 39 e i 41 anni, diminuisce in base al numero di ovociti presenti nel proprio ovaio e questo viene calcolato tramite una serie di esami, come il valore AMH o la conta follicolare antrale, che servono per valutare la riserva ovarica; in base a questo numero potremo avere una maggiore possibilità di ottenere un embrione che risulti normale cromosomicamente ed abbia quindi, più probabilità di proseguire nella gravidanza. Concludendo, la possibilità di utilizzare i propri ovociti dipende da ogni singola paziente e dall’età di quest’ ultima, più l’età aumenta, maggiore è la probabilità di ricorrere all’ovodonazione ma non sempre sarà necessario scegliere questa opzione.
Si, anche le blastocisti da ovodonazione non sono esenti dalla probabilità di avere un aborto. Questo evento è da considerarsi multifattoriale, può dipendere da problematiche intrinseche all’embrione oppure estrinseche (come ad esempio la comunicazione con l’endometrio). Per quanto riguarda i fattori intrinseci, la probabilità che si verifichino è inferiore con un’ ovodonazione dato che gli ovociti utilizzati sono di donatrici di età più giovane e quindi il tasso di errore genetico che potremmo riscontrare è inferiore, (ricordiamoci però che è necessario tenere in considerazione anche la componente maschile di cui fino a qui non abbiamo parlato e quindi, se dovessimo avere il verificarsi di un aborto da ovodonazione sarà necessario effettuare un’anamnesi ed un esame corretto anche di quest’ultima). In conclusione possiamo dire che il tasso di aborto da ovodonazione è sicuramente più basso, ma non è pari a zero.
La blastocisti si forma nello stadio più avanzato, tra la quinta e la settima giornata di sviluppo nell’incubatore, (normalmente tra la quinta e la sesta giornata); quando questa viene congelata e preparata per il trasferimento in Italia, si procede con la preparazione dell’endometrio per circa 5/6 giorni al fine di sincronizzarlo con quella giornata di sviluppo della blastocisti e poi si procede con il trasferimento di quest’ultima.
In linea generale la gravidanza gemellare è considerata problematica un punto di vista ostetrico; in letteratura abbiamo abbastanza esperienza accumulata in merito a quelli che possono essere gli eventi avversi di una gravidanza gemellare, in circa il 16% di queste gravidanze (ed è alto come casistica), possono verificarsi delle complicazioni che possono riguardare il feto o la madre, inoltre rilevano l’età e le condizioni fisiche della donna; ovviamente non significa che queste problematiche si verificheranno in ogni gravidanza di questo tipo , ma conoscendo l’esistenza di tutte queste eventualità non possiamo non tenerne conto nel momento in cui andiamo ad effettuare un trasferimento ed è necessario informare le coppie, ovviamente la decisione verrà presa poi dalla coppia con l’aiuto del medico, ma esistono delle condizioni medico fisiche della paziente ricevente più proibitive in presenza delle quali si sconsiglia il trasferimento di più blastocisti. Non da ultimo è importante ricordare che, sebbene in solo l’1 % dei casi, la blastocisti ha di per sé il rischio di sdoppiarsi, di conseguenza, impiantare due blastocisti, sebbene in casi rari può determinare situazioni più rischiose.
Il primo passo consiste nell’effettuare l’inseminazione con il partner maschile, successivamente si scongelano gli ovociti, si effettua la coltura in vitro (che viene fatta nei laboratori fino al raggiungimento dello stadio di blastocisti) e poi si effettua il transfer; generalmente dal momento dello scongelamento al momento dell’impianto può trascorrere un tempo compreso tra una settimana ed un mese tenendo in considerazione anche alle condizioni della paziente. Se la blastocisti viene invece trasferita in Italia sarà necessario solo sincronizzare l’endometrio e procedere poi con lo scongelamento ed il transfer.
Parliamo in questo caso del transfer in utero. Quando si prepara un endometrio e si effettua un transfer, se abbiamo altre blastocisti congelate, si attenderà il ciclo successivo o la preparazione su ciclo ormonale successiva, (che corrisponde a generalmente ad un mese) per procedere poi con una nuova sincronizzazione dell’endometrio ed infine, dopo circa un paio di mesi dall’impianto non andato a buon fine effettuare un nuovo trasferimento di embrione.
Il limite di età per la procedura di ovodonazione è fissato a 50 anni, si devono però tenere in considerazione tutta una serie di caratteristiche, come ad esempio le condizioni fisiche della ricevente, ed è quindi molto importante la valutazione, da parte del ginecologo, di tutta una serie di esami finalizzati allo studio di queste ultime, poiché con una gravidanza posta in essere in quella fascia di età, ci si espone ad un rischio importante ed è quindi necessario fare una valutazione ben approfondita prima di procedere.
Se parliamo di fecondazione con ovodonazione, sicuramente i fattori che ne determinano il successo sono diversi, in primis il numero di tentativi possibili con singola blastocisti; se otteniamo ad esempio due blastocisti da un programma di ovodonazione, avremo maggiori probabilità di successo poiché ciò che dobbiamo valutare è la gravidanza cumulativa su un gruppo di embrioni che otteniamo con un singolo ciclo di trattamento. Da un punto di vista strettamente tecnico invece, sicuramente incidono: la standardizzazione del laboratorio, la perfetta sincronizzazione dell‘endometrio, la recettività endometriale. Nell’esecuzione di queste procedure è quindi necessario ottenere una serie di fattori combacianti, fattori di laboratorio e clinici, fattori relativi alla paziente (come appunto la recettività endometriale) che valgono sia per l’eterologa che per l’omologa. L’esperienza negli anni ci ha permesso di indagare su quali siano le strategie migliori da applicare, ad esempio, per la sincronizzazione e la preparazione dell’endometrio sia su ciclo spontaneo che su ciclo stimolato e questa valutazione viene fatta di volta in volta dal clinico di volta in volta.
I criteri minimi che vengono presi in considerazione sono diverse; l’aspetto psicologico, le caratteristiche anamnestiche da un punto di vista clinico, ovvero la donatrice deve essere in buona salute, l’assenza di patologie virali, quindi la paziente deve essere una paziente sana e l’assenza di patologie genetiche; inoltre viene controllato il gruppo sanguigno, il fattore RH le caratteristiche somatiche come il colore di occhi e capelli, l’altezza, il BMI; tutto questo ci aiuta poi in laboratorio ad effettuare il matching ideale con la donatrice per ottenere una maggiore compatibilità, ovviamente questo è utile non tanto per il successo clinico della procedura ,quanto per ottenere come detto, il matching con le caratteristiche della coppia. Tra i criteri non obbligatori prevalentemente ce ne sono due che vengono presi in considerazione e che possono essere utili come osservazione ma che non indicano una maggiore efficacia. Il primo è che la donatrice o il donatore si siano già riprodotti, questo ci dà un’indicazione del fatto che lo stato di salute generale è tale per cui non si sono verificati problemi e che la donatrice ha una fertilità provata dal fatto che quest’ultima ha già posto in essere un processo riproduttivo con esito positivo in maniera autonoma. Un altro criterio non obbligatorio che può comunque darci delle informazioni utili è il pannello di geni, cioè un testing di geni aggiuntivo che ci permette di andare a valutare una serie di patologie che possono essere correlate ad un fenotipo molto raro; questo può essere efficace nel senso che, se si esclude una patologia rara presente in maniera puntiforme in una donatrice e che per pura casualità può essere presente nel partner maschile , allora si eviterà di dover decidere poi in futuro quale sarà l’esito finale dell’embrione che ha quella malattia poiché se si trattasse di una patologia non compatibile con la vita questa eventualità ridurrebbe l’efficacia del trattamento in quanto aumenterebbe, ad esempio, le probabilità del verificarsi di un aborto; anche le patologie genetiche quindi, possono essere utili nel corso dell’analisi generica della selezione della donatrice.
Assolutamente si e fin dalla prima visita della copia che necessità dell’ovodonazione; si effettua l’accesso al programma che viene gestito completamente in clinica, nel nostro caso ad esempio all’European Hospital a Roma, la paziente arriva, effettua la prima visita, il medico le consiglia quello specifico tipo di percorso e quando la coppia decide in autonomia di volersi sottoporre al percorso di ovodonazione viene seguita interamente in Italia ed è esattamente come se fosse trattata in Spagna (noi nello specifico lavoriamo con un centro che si trova a Madrid e che è sotto la nostra gestione poiché essendo un gruppo internazionale, gestiamo anche i trattamenti che vengono fatti nel centro della banca estera); procediamo con il rimpatrio degli embrioni (le blastocisti) ed effettuiamo il transfer qui in Italia .Tutto il percorso viene quindi eseguito come se per la procedura ci si recasse in Spagna ma senza spostarsi dall’Italia.
Il vantaggio dell’ovodonazione da fresco è stata analizzata da uno studio che non è però completo e quindi ad oggi non abbiamo dati esatti per dire che sia migliore l’una o l’altra. Possiamo comunque ragionare sotto altri aspetti; gli ovociti di per se sono cellule molto sensibili di conseguenza congelarli e poi scongelarli fa si che il tasso di sopravvivenza di questi ultimi si aggiri intorno al 90% ciò significa, da un punto di vista strettamente aritmetico che su 10 ovociti probabilmente ne sopravvivranno 9; ogni ovocita donato sappiamo che è molto importante per aumentare la probabilità di arrivare ad avere una blastocisti e quindi una chance in più di effettuare un transfer corretto. L’unico fattore veramente limitante, almeno attualmente con i dati che abbiamo a disposizione è che inseminandoli a fresco, gli ovociti che abbiamo saranno tutti preservati e ci daranno tutti una certa probabilità di ottenere una blastocisti, con quelli congelati invece, dovremo fare i conti con il numero di quelli che riusciranno a sopravvivere. Il processo di vitrificazione viene utilizzato ovunque come metodo ed è altamente efficiente, ma dobbiamo comunque tenere in considerazione che la sopravvivenza degli ovociti è del 90 /95 % e quindi abbiamo il rischio di ottenere un ovocita in meno al momento dell’inseminazione. In merito al secondo quesito possiamo dare risposta affermativa, lavoriamo con blastocisti congelate da diversi anni e in letteratura i dati che si sono accumulati sono confortanti, al momento sappiamo che non c’è rischio per nessuna delle due procedure e riusciamo ad assicurare tassi di gravidanze praticamente sovrapponibili tra le due.
Nel caso di una procedura con i propri ovociti la paziente viene sottoposta ad una stimolazione ovarica, viceversa l’utilizzo di ovociti donati non implica questa eventualità, si passa direttamente a ricevere gli embrioni che vengono prodotti dall’inseminazione degli ovociti donati. I pro e i contro sono semplicemente relegati alla qualità e al numero di ovociti che si riescono ad ottenere da una stimolazione delle ovaie della paziente; se siamo ad esempio in una condizione di limite di età e limite di riserva ovarica la stimolazione di ovociti propri avrà dei risultati poco performanti e poco efficaci per cui a quel punto probabilmente sarà meglio ricorrere all’ovodonazione per risolvere il problema di sterilità dovuta al depauperamento della riserva ovarica degli ovociti della paziente.
I rischi riguardano principalmente la gravidanza, soprattutto in età materna avanzata; la gravidanza da ovociti donati è sicuramente più delicata poiché ricorrono a questo programma donne riceventi con un età maggiore ed inoltre si possono avere complicanze da gravidanza multipla, è necessario pertanto osservare e controllare maggiormente il decorso di queste gravidanze e rivolgersi a centri specializzati che consentano di seguire bene tutto il percorso fino al momento del parto ed in tutta sicurezza; dal punto di vista clinico embriologico non c’è invece nessun rischio nell’eseguire una procedura con ovociti donati rispetto a quella con ovociti propri.
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