Dott. Andrea Borini
Direttore di 9.baby – Family & Fertility Center, 9.baby – Family and Fertility Center
Categoria:
Cicli di IVF falliti, Tassi di Successo
In questa sessione il Dr. Andrea Borini, Direttore del network 9.baby, ha introdotto i principali motivi alla base dei possibili fallimenti della fecondazione in vitro e le conseguenti soluzioni per aumentare le possibilità di successo.
Per poter comprendere bene che cosa c’è dietro un procedimento come quello della fecondazione assistita è importante capire quale sia il funzionamento della biologia nell’essere umano, perché comprendendo che cosa avviene normalmente nel processo biologico dell’uomo possiamo provare a rapportarlo a ciò che da un punto di vista medico si cerca di fare tramite la fecondazione assistita.
Erroneamente si crede, soprattutto in giovane età, che in corrispondenza del primo o massimo secondo rapporto automaticamente si abbia una gravidanza, in realtà questo, come ci illustra il dottor Borini, non corrisponde al vero, anche in giovane età ad esempio a 20 anni, solamente 30 embrioni su cento che si formano proseguiranno il loro sviluppo fino a dare origine ad un bambino. La probabilità di concepimento spontanea nella popolazione generale è pari al 20% per ciclo ed esiste una percentuali pari circa al 32% degli esseri umani che ha una perdita precoce della gravidanza, questo significa che circa 2/3 delle gravidanze si esauriscono nelle prime settimane, prima della possibilità di determinazione clinica. Sempre il professor Borini riferisce inoltre che si stima una probabilità di concepimento spontaneo nel primo anno di rapporti non protetti pari al 84%, quando si parla di primo anno si intendono almeno 12 mesi di tentativi quindi 12 ovulazioni e conseguentemente 12 ovociti e potenzialmente 12 embrioni; la probabilità passa poi al 92% dopo 2 anni fino ad arrivare al 93% dopo 3 anni.
La frequenza dei rapporti, riferisce dice il Dottor Borini, ha una sua importanza ma non è strettamente necessario avere rapporti con alta frequenza a giorni alternati per circa 12/15 giorni per cercare con accanimento una gravidanza, i rapporti dovrebbero essere liberi e spontanei, indicativamente si può prendere come riferimento temporale il periodo che corrisponde all’incirca alla metà del ciclo mestruale della donna; con una frequenza di circa un rapporto ogni 2/3 giorno, dopo 3 anni avremo una percentuale paria a circa il 94% di concepimenti spontanei per le donne di 35 anni e del 77% per le donne di 38 anni.
Il Dottor Borini ci illustra inoltre le probabilità di concepimento messe in relazione con il numero di cicli mestruali (più precisamente di ovulazioni) e ci mostra come questa aumenti all’aumentare dei cicli fino a raggiungere una sorta di plateau intorno ai 15/18 mesi, questo significa che in circa 1 anno e mezzo più o meno in tutte le fasce di età di riferimento si riesce a raggiungere se non il 100% almeno l’80% delle possibilità di concepimento( vedi grafico ).Nella slide successiva possiamo vedere ancora meglio le percentuali cumulative suddivise per fasce di età e calcolate su 12 cicli e 24 cicli ( su una media di circa 2 rapporti a settimana) è quindi suggeribile di provare per circa 1 anno , 1 anno e mezzo ad avere una gravidanza spontaneamente, dopo tale periodo, se non si è riusciti ad ottenere il risultato sperato è utile fare ricorso ad un aiuto esterno.
Nel processo riproduttivo umano l’età è un fattore rilevante; per il maschio, sebbene lo spermatozoo sia fondamentale per poter avere ad avere un embrione, l’apporto alla gravidanza è molto meno importante rispetto a quanto non concerne alla cellula uovo e con l’aumentare dell’età l’ovocita peggiora le proprie capacità di dare origine ad un embrione e quindi ad una gravidanza.
Nello schema illustrato dal Dottor Borini, vediamo quale sia il destino naturale dei concepimenti, su 100 rapporti avvenuti nel giorno fertile e con esito positivo, circa il 30% fallisce nel momento dell’impianto, il 30% termina per aborti preclinici ovvero quelli che si verificano nel caso in cui la donna presenta qualche giorno di ritardo con risultati iniziali di esami beta positivi ma la gravidanza poi non prosegue, abbiamo un altro 10% di aborti clinici ed infine solo un 30% di gravidanze.
Riassumendo quello che è il processo del concepimento seguendo la biologia dell’uomo possiamo concludere che: è necessario avere rapporti per più mesi in modo tale da poter mettere alla prova un maggior numero di cellule uovo ed aver un più alto numero di embrioni dato che maggiore è il numero di questi ultimi maggiore è la probabilità, nel tempo, che si riesca ad aver l’embrione che potrà crescere fino a determinare una gravidanza che si potrà concludere positivamente.
In un procedimento di fecondazione assistita è importante valutare la quantità di ovociti che si riescono ad ottenere per singolo ciclo di stimolazione (più ovociti si hanno meglio è) e se dovessimo avere un numero basso di ovociti molto probabilmente sarà consigliabile ripetere le stimolazioni. Avvalendosi di alcune referenze scientifiche che fanno riferimento a quale possa essere il numero ottimale di ovociti in corrispondenza dei quali è dato sperare di avere una gravidanza, possiamo vedere che il numero sul quale si attestano più o meno tutte è 15. In un ulteriore studio effettuato dal Dottor Borini, in cui sono stati messi in relazione il numero di ovociti e la percentuale di gravidanze, possiamo vedere che all’aumentare del numero dei primi aumenta sia la percentuale di bambini che nascono che la percentuale cumulativa di bambini che nascono ( quindi non solo utilizzando ovociti freschi ma avvalendosi anche di ovociti congelati).Per tanto possiamo concludere che il numero di ovociti è importante poiché più ovociti abbiamo più embrioni avremo e maggiore è il numero degli embrioni più alta sarà la probabilità di ottenere quello che ci permetterà di avere un bambino. Come avviene per le gravidanze ottenute in modo spontaneo per le quali è necessario avere rapporti per molti mesi, (almeno 18) prima di poter asserire l’esistenza di una difficoltà nell’ottenimento di una gravidanza, così per la PMA è necessario aver ottenuto un alto numero di embrioni prima di poter dire che non si riesce ad ottenere il risultato desiderato; nel grafico che ci illustra il professor possiamo vedere come realmente la percentuale di bambini nati aumenta in modo direttamente proporzionale all’aumentare della disponibilità ovocitaria, anche rispetto al rischio di iperstimolazione che ad oggi è quasi completamente evitabile.
Affinché l’impianto possa avvenire correttamente, dobbiamo essere in presenza di un embrione euploide cioè dotato del corretto assetto cromosomico, quando l’impianto non avviene significa che l’embrione in oggetto ha delle alterazioni cromosomiche e queste ultime dipendono in parte dallo spermatozoo ma principalmente dalla “qualità” della cellula uovo, di pari passo con l’aumento dell’età della donna, aumenta la concentrazione di cellule uovo che presentano alterazioni della sfera cromosomica e che di conseguenza daranno origine ad embrioni con le medesime alterazioni i quali a loro volta non permetteranno di ottenere una gravidanza o, qualora dovessero dare inizio ad una gravidanza, la vedranno terminare in un aborto. Ad oggi è possibile effettuare la diagnosi sugli embrioni per poterne conoscere lo stato di salute inteso come assetto cromosomico, nel grafico illustrato dal professore possiamo vedere come con l’aumento dell’età della paziente aumenti anche il numero di ovociti necessari per poter avere un embrione euploide ( specifichiamo che per embrione euploide si intende quello che risulta avere il corretto assetto cromosomico su cento che noi andiamo a valutare e non quello che si impianterà)e quindi teoricamente sarà sempre più utile per queste pazienti ripetere trattamenti di stimolazione perché questo ci permetterà di avere un sempre maggiore numero di ovociti di cui avremo bisogno, poiché sarà minore in percentuale il numero di embrioni buoni che potranno dare una gravidanza (i dati riportati sono stati rilevati dal professore sulla base dei cicli di trattamento effettuati).In letteratura in fine un dato da sempre presente, riferisce che durante i cicli di fecondazione in vitro solo circa il 5% degli ovociti freschi darà origine ad un bambino .
In conclusione possiamo quindi dire che il numero di ovociti recuperati è un fattore predittivo di gravidanza perché esiste una forte associazione tra numero di ovociti recuperati e percentuali di successo, di conseguenza maggiore è il numero di ovociti che abbiamo a disposizione, maggiore sarà il numero di embrioni che potranno essere trasferiti o congelati e questo farà sì che sia sempre più alto il numero di gravidanze cumulative che potremo ottenere, proprio perché ogni volta che trasferiamo un embrione operiamo simulando ciò che avverrebbe in corrispondenza di un rapporto nel giorno giusto. I pazienti prima di approcciarsi a questo tipo di trattamento dovrebbero sapere che la fecondazione in vitro serve per by-passare problematiche meccaniche di incontro tra spermatozoi ed ovociti o di trasporto di embrioni nella tuba e poi nell’utero, quindi qualora volessero simulare ciò che potrebbero fare avendo rapporti spontanei in caso in cui non ci fossero problemi di tipo meccanico, le coppie dovrebbero proseguire con i trattamenti di fecondazione in vitro fino almeno a raggiungere un numero di trasferimento di embrioni pari a circa 12 / 18 così come tramite i tentativi spontanei si dovrebbe provare per almeno 12 / 18 mesi.
L’indicazione di 13/15 ovociti , ovvero quella considerata ottimale per avere una buona probabilità di riuscita, si può riferire anche a più cicli di stimolazione; se una paziente ad esempio ha una produzione di ovociti pari a 5 in una singola stimolazione può raggiungere la quantità sopra indicata in più cicli ripetuti, l’indicazione è da intendersi come riferimento per capire quando valutare l’ipotesi di non proseguire con questo percorso ; non possiamo decidere se valga la pena riprovare o meno dopo un eventuale fallimento, in base al numero di cicli effettuati, ma dobbiamo tenere in considerazione il numero di embrioni trasferiti , se ad esempio in 3 cicli avessimo trasferito 20 embrioni con esito negativo allora dovremmo prendere in considerazione l’ipotesi di non procedere con ulteriori tentativi , se invece in 3 cicli avessimo trasferito 6/7 embrioni allora potremmo comunque considerare l’idea di provare nuovamente.
Un aspetto importante da tenere sempre in considerazione è l’età. L’analisi preimpianto è indubbiamente una procedura utile per poter valutare la presenza di blastocisti di embrioni euploidi, ovvero con un giusto assetto cromosomico e procedere quindi con il trasferimento di embrioni che hanno una maggior probabilità di determinare una gravidanza; una condizione come quella descritta, indubbiamente aumenta le chance di ottenere il risultato desiderato , se si fossero ad esempio trasferiti embrioni senza aver effettuato un’analisi preimpianto, avremmo avuto una probabilità di successo pari a circa il 9/10 % con, al contempo, una percentuale di circa il 40 /50% di abortività, avendo invece trasferito embrioni euploidi , all’età della paziente, si alza la percentuale di successo al 25 % . Due embrioni come indicato in questo caso, sebbene sia un buon numero non è sufficiente per escludere che gli embrioni trasferiti, benché euploidi, potessero essere embrioni non adatti; ciò dipende dal fatto che un embrione, per continuare a crescere, ha bisogno della concomitanza di più cose come il citoplasma, l’energia e tutti gli organelli, è quindi una situazione molto più complessa rispetto alla semplice esclusione di alterazioni cromosomiche. Non dimentichiamo comunque che moltissimi degli embrioni umani hanno alterazioni cromosomiche e già questa è una condizione sufficiente per far si che questi ultimi possano non crescere.
Assolutamente no. Sebbene sia necessario tenere in considerazione tutta una serie di caratteristiche, come ad esempio il metodo utilizzato o il centro di riferimento, da 11 ovociti in media potremmo recuperarne 8 /9 /10, circa un 70% per cento di questi si feconderà e di questi ultimi circa un 80 % diventerà un embrione; suggerirei pertanto di provare prima con gli ovociti congelati, che hanno un’alta probabilità di risultare idonei essendo stati congelati a 36 anni, rispetto a quelli che la signora potrebbe produrre a 42, se con i primi non dovessimo ottenere risultati, nel giro di 4/5 mesi potrebbe comunque provare con quelli prodotti adesso.
L’età migliore da un punto di vista biologico si può far coincidere con i 20/25 anni; dopo i 35 anni le chance iniziano a decrescere più velocemente rispetto a quanto non accada dai 25 a i 35 anni.
Direi di si, sappiamo che a 40 anni la percentuale di embrioni che hanno alterazioni cromosomiche e che possono quindi purtroppo terminare come nel caso della signora è indubbiamente elevata, al contempo il fatto di avere avuto un’interruzione in settima settimana non significa automaticamente che da quegli embrioni che si sono formati non possiamo ottenere un embrione idoneo, ogni embrione fa storia a sé.
3 blastocisti corrispondono all’incirca alle probabilità che otterremmo in circa 4/5 mesi di rapporti spontanei effettuati al momento giusto, direi quindi che si possa considerare l’idea di provarci ancora soprattutto in presenza di una donna di 42 anni con un AMH pari a 2 e che produce un numero di ovociti pari a 9, numero da considerare come un buon risultato. L’eterologa ha dal mio punto di vista un significato diverso: quando per una coppia ha maggiore rilevanza la probabilità di successo rispetto all’origine del DNA del proprio figlio, sicuramente optare per un’eterologa è l’opzione ottimale poiché con quest’ultima si hanno circa 40 probabilità su 100 di riuscita contro il 10 % dell’omologa. (“Nel periodo in cui mi trovavo in California a fine anni 80, le donne di età superiore ai 40/41 anni quando venivano a fare consulti per valutare quale strada intraprendere, di fronte a un 40% di probabilità di riuscita con l’eterologa non trovavano motivo per procedere con i propri ovociti date le basse probabilità che si riscontravano con l’uso di questi ultimi, tutto questo in relazione ad un diverso approccio rispetto al concetto di appartenenza”). Nei casi in cui invece è importante per la coppia che il bambino abbia il proprio patrimonio genetico difficilmente si procederà per questa strada. Personalmente preferisco valutare e pensare sin dall’inizio quale possa essere l’impatto, anche solo emotivo e psicologico di questa eventuale scelta con i pazienti e a seconda del risultato ragionarlo anche come primo tentativo .La signora ritengo abbia ancora potenzialità’ e avendo già fatto 2 tentativi presumo ci tenga particolarmente ad aver un bambino che abbia il proprio patrimonio genetico, ritengo quindi che possa valutare di riprovare qualora con questo tentativo le beta risultassero negative.
L’età ricordiamo è un fattore importante , a 34 anni, se avesse effettuato una diagnosi preimpianto, di queste 6 blastocisti ne avrebbe avuto circa il 50% euploidi e il 50 % aneuploidi; sulle 3 euploidi avrebbe avuto ogni volta circa il 55 % di probabilità di successo, ciò potrebbe indicarci che al momento abbia trasferito solo embrioni aneuploidi , quindi con alterazioni cromosomiche o senza alterazioni cromosomiche ma prive di capacità di impiantarsi , da questo potremmo dedurre che al momento sia maggiore la probabilità che il motivo della non gravidanza dipenda dagli embrioni più che da un problema all’utero all’endometrio o altro, probabilmente una valutazione endoscopica o una biopsia endometriale per vedere se fossero presenti forti alterazioni della finestra di impianto , potrebbero essere utile e in ogni caso anche se la paziente ha 34 anni avrei consigliato di fare una diagnosi preimpianto proprio per evitare di fare tentativi a vuoto. Ritengo infatti che per le coppie sia importante affrontare meno transfer possibile trovandosi così un minor numero di volte ad attendere i 12/14 prima del test di gravidanza poiché sono quelli che mettono maggiormente alla prova la parte emotiva e la propria capacità di voler proseguire ulteriormente, è importante, a mio avviso fare il minor numero possibile di procedure e procedere solo con quelli che hanno una maggiore possibilità di riuscita.
Per quanto riguarda l’isteroscopia, avendola già programmata direi che ha senso effettuarla, presumo inoltre che abbiate già effettuato il cariotipo sebbene Il fatto che si sia verificato un aborto non ci fornisce di per sé grandi informazioni. Procedere con l’esame preimpianto sugli embrioni congelati, significa scongelarli, fare la biopsia e ricongelarli ed esiste la possibilità che questa procedura possa portare ad alterazioni dell’embrione o alla rottura dello stesso, tale eventualità deve essere valutata con attenzione. Nel caso specifico comunque sarebbe necessario fare tutta una serie di valutazioni che possono essere effettuate solo avendo a disposizione tutta la documentazione medica della paziente.
Ritengo che il punto nevralgico sia proprio questo, se valga la pena provare UNA SOLA stimolazione avendo un AMH basso e quindi avendo potenzialmente pochi ovociti a disposizione. Ritengo che prima di partire con la procedura sarebbe bene ragionare su quanti trattamenti si vogliano fare poiché con un valore dell’ AMH come quello indicato probabilmente non avremo tanti ovociti e di conseguenza non molti embrioni, effettuando diverse stimolazioni avremo sicuramente più ovociti e quindi più embrioni ;credo che un solo tentativo in questa situazione, darebbe un risultato molto basso in numero di possibilità (“sebbene possa accadere , come anche nella mia esperienza che una paziente con solo 3 follicoli possa avere gravidanza. La medicina non si può però riferire ai casi particolari”). Credo che la strada ottimale sia quella di una programmazione; se la vostra intenzione e ‘ quella di stimolare l’ovaio più volte, arrivando quindi ad un numero di ovociti alto, conviene procedere, ovviamente non è necessario formare tutti i follicoli, tutti gli ovociti, formare gli embrioni e trasferirli, si può fare volta per volta dato che qualora si avesse una gravidanza con il primo embrione che si forma non sarà necessario procedere ulteriormente. La priorità è riuscire a formare embrioni. La difficoltà che lei potrebbe avere, con il valore di AMH indicato che risulta basso è che la probabilità di produrre ovociti è più bassa e di conseguenza dovrà considerare di provare più volte con più stimolazioni. Una sola volta forse ha poco senso.
Da un punto di vista biologico , 1 o 2 blastocisti potrebbero essere trasferite anche senza una diagnosi preimpianto, che, ci tengo a precisare , di per se non garantisce di avere l’embrione perfetto che darà un bambino .L’impatto psicologico non deve però essere sottovalutato: un eventuale blastocisti trasferita che si impianta e termina poi in un aborto che genere di impatto può avere sul proseguo del suo trattamento ? se un’eventualità di questo tipo non dovesse impattare in maniera troppo forte sul fronte psicologico , allora potrebbe anche non effettuare una diagnosi preimpianto, se al contrario fosse una situazione con una forte incidenza psicologica , le suggerisco di utilizzare questa procedura. (“Ritengo inoltre che anche sotto altri punti di vista possa essere consigliabile effettuarla, è vero che ha dei costi, ma questi sicuramente sono superiori in caso di scongelamento e trasferimento di embrioni scongelati, ha un costo maggiore anche il tempo impiegato per le diverse procedure; ci sono diverse domande in merito alle quali riflettere quando si valuta se effettuare o meno questa procedura.”)
Gli embrioni trasferiti erano presumibilmente buoni poiché dieci cellule ed 8 cellule in terza giornata sono un buon risultato ma una parte di questi, se tenuto in coltura potrebbe non raggiungere lo stadio di blastocisti poiché a 43 anni oltre il 60 % di quegli embrioni ha une neuploidia e quindi non genererà una gravidanza. Con un valore di AMH pari a 0,8, come nel suo caso, la risposta ovocitaria non sarà altissima ed essendo il fine da raggiungere quello di creare embrioni, se per la paziente è importante utilizzare i propri ovociti credo che possa procedere nuovamente considerando che ad oggi il numero di embrioni trasferiti è comunque basso.
Anche in questo caso l’età della paziente è rilevante poiché con il variare dell’età variano anche le percentuali di riuscita degli embrioni euploidi di cui stiamo parlando. In questo caso specifico ritengo che sia più probabile un problema legato agli embrioni (che pur non avendo alterazioni cromosomiche potrebbero aver avuto altre problematiche) piuttosto che dell’endometrio. Può essere comunque utile capire alcune caratteristiche di quest’ultimo, come lo spessore endometriale al momento del trasferimento, perché se ad esempio avessimo uno spessore che con difficoltà in questa fase arriva a 6 mm allora potremmo essere di fronte ad un problema di endometrite, oppure potremmo avere un endometrio polipoide, suggerirei di fare un’isteroscopia con biopsia per vedere se per caso ci fossero parti dell’endometrio con alterazioni di questo tipo.
Penso che possa avere più senso fare una biopsia degli embrioni piuttosto che dell’endometrio. Non sempre facendo un alto numero di esami si riscontra un reale problema, talvolta si possono riscontrare piccole problematiche che non rilevano in merito alla finalità che vogliamo raggiungere.
Dipende dal tipo di infezioni a cui facciamo riferimento; in caso ad esempio di una accertata endometrite, cioè di un’infiammazione acuta o cronica dell’endometrio che ne caratterizza una crescita ridotta può avere una rilevanza , nel caso evidenziato di ureaplasma e mycoplasma, è importante capire se parliamo di infezioni a livello endometriale o vaginale , questa differenziazione è importante poiché nel secondo caso, direi che l’incidenza di queste ultime è pressoché irrilevante; a dimostrazione di questo potremmo fare una semplice riflessione statistica : uno dei più alti numeri di interruzioni di gravidanze si registra, presso i reparti ostetrici di competenza , da parte di donne che, sfruttate a fini sessuali e non istruite in merito alla contraccezione , pur essendo a stretto contatto con infezioni vaginali di vario genere, rimangono gravide e sono costrette a sottoporsi poi a interruzioni di gravidanza.
Da un punto di vista biologico non è necessario.
In merito a questo argomento in prima battuta vorrei che fosse modificato il concetto di tentativo e che fosse un po’più chiaro che cosa significa fare fecondazione in vitro rapportandola a quello che avviene spontaneamente. Abbiamo ad oggi un grande problema in merito alla biologia della riproduzione, che non e’ tra l’altro inserita tra le materie di insegnamento scolastico e ciò genera, nelle persone, delle gravi deficienze in termini cognitivi in merito a quale sia il funzionamento del processo biologico riproduttivo , il pensiero comune è, erroneamente, quello secondo il quale a 20 anni avere un rapporto significhi automaticamente avere un figlio e di conseguenza si presta molta più attenzione a quale siano i metodi contraccettivi da utilizzare per non averne; in realtà non esiste questa correlazione , anche spontaneamente non possiamo pensare che in corrispondenza di ogni ciclo si possa verificare una gravidanza e tale ragionamento dovrebbe essere applicato anche alla fecondazione in vitro , in particolar modo oggi che, nel caso in cui avessimo ovociti o embrioni in più, esiste la possibilità di congelarli per poter poi procedere, in un secondo momento con un ulteriore tentativo senza dover effettuare ulteriori stimolazioni.
La letteratura per un certo periodo ha ritenuto che fosse così ma basandosi su studi non randomizzati e non controllati. Ad oggi il priming con estrogeni non garantisce in maniera statisticamente significativa un aumento dei follicoli. Anche il pre trattamento con androgeni, con i precursori degli androgeni e gli attivatori degli androgeni non sembra avere tale effetto anche se, forse, per età sopra i 40 anni, potrebbe essere di aiuto poiché si utilizza il testosterone che manca nelle donne al di sopra di questa età. Da un punto di vista meramente scientifico ad oggi non abbiamo possibilità di asserire che funzioni.
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