Raúl Olivares, MD
Direttore Medico e Amministratore di Barcelona IVF, Barcelona IVF
Categoria:
Cicli di IVF falliti, Impianto dell’embrione, Trasferimento di Embrioni
In questa sessione il Dr. Raúl Olivares, Direttore Medico di Barcelona IVF, ha parlato dei fattori principali che possono causare il fallimento di una procedura FIVET.
Nel 30 % de casi in cui non si riesce ad ottener una gravidanza questo può essere imputato al fallimento di impianto e le cause principali sono due, le cause di origine uterina endometriale immunologica o comunque legate alla paziente e le cause di origine embrionaria specialmente di tipo genetico in corrispondenza delle quali si riscontrano anomalie cromosomiche che impediscono l’attecchimento dell’embrione; sono quelle che si riscontrano nella maggior parte dei casi e che possono essere valutate attraverso la diagnosi genetica preimpianto, a volte possono esserci purtroppo fattori misti; in caso di fallimento di impianto in ogni caso la prima cosa che deve essere fatta è valutare se realmente gli embrioni che sono a disposizione della paziente sono embrioni di buona qualità da un punto di vista morfologico e della genetica. E importante indagare in questo senso perché l’età è un fattore che diminuisce fortemente la capacità di attecchimento dell’embrione e nei grafici che illustra il Dottor Olivares è possibile vedere messi in relazione appunto con l’età, la percentuale di aborti e la percentuale di “bimbo in braccio “ ovvero di bambini nati vivi e si nota come questo risulti identico al grafico che mette invece in relazione il rischio di avere problemi cromosomici a livello embrionario e le percentuali di impianto effettivo sempre in rapporto all’età della paziente; entrambi confermano come l’aumentare dell’età determini una diminuzione della percentuale di impianto perché vede aumentare il numero di anomalie cromosomiche che si possono verificare.
Esistono delle caratteristiche precise in presenza delle quali si può parlare di fallimento di impianto; per le pazienti giovani se ne parla successivamente all’effettuazione di almeno due transfer di embrioni che abbiano raggiunto lo stadio di blastocisti (non è infatti la stessa cosa trasferire al secondo o terzo giorno, rispetto ad un trasferimento dopo che l’embrione è stato lasciato in coltura per diventare blastocisti). Nel caso in cui la paziente abbia 40 anni quanto detto non sarebbe sufficiente perché possono esistere numerose anomalie cromosomiche, di conseguenza per poter parlare di fallimenti da causa uterina, coagulativa o immunologica è necessario trasferire almeno due blastocisti geneticamente normali altrimenti non è possibile parlare poiché le percentuali di successo ad oggi ancora non sono del 100%, può quindi verificarsi l’ipotesi del fallimento di impianto e qualora questo dovesse avvenire al primo tentativo, da un punto di vista meramente medico non determinerebbe un evento raro al punto da richiedere esami specifici.
Esistono tutta una serie di esami di cui possiamo avvalerci per valutare la recettività endometriale lo stato del microbioma endometriale, esami legati alla sfera immunologica, che ci possono aiutare a capire quale sia la causa del mancato attecchimento.
Lo scratching ha come scopo quello di aumentare un’infiammazione locale, ma quando questa infiammazione è normale perché la paziente non ha avuto un fallimento di impianto, questo procedimento aumenta in maniera eccessiva questa infiammazione e può sfavorire l’attecchimento. In uno studio del 2003 che viene utilizzato dal Dottor Olivares, si vede come quando veniva effettuato questo piccolo raschiamento nel ciclo precedente al transfer, questo apportava delle modifiche a livello endometriale che sembravano aumentare la percentuale di attecchimento, altri studi suggerivano di effettuarlo per prassi a tutte le pazienti ma questo non ha avuto esiti positivi. Come si può vedere dai risultati mostrati da Dottore il tasso di life birth è praticamente invariato tra il gruppo di controllo e il gruppo sottoposto allo scratching (su un numero di 1200 pazienti), nei casi in cui lo scratching è stato effettuato in maniera standardizzata a tutte le pazienti si osserva una diminuzione della percentuale di successo .
Sempre più spesso cardioaspirina ed eparina vengono utilizzate come protocollo, in modo sistematico con tutte le pazienti, da diverse cliniche che scelgono di aggiungere la somministrazione di un alto numero di farmaci per cercare di avere le massima possibilità di riuscita, non esiste però ad oggi alcuna evidenza scientifica, nei vari studi, che il loro utilizzo possa favorire l’attecchimento degli embrioni fatta eccezioni dei casi nei quali è richiesto di farne uso per presenza di eventuali problemi di coagulazione.
Questo tipo di esame si effettua per sapere se nel momento in cui viene trasferito l’embrione è in fase pre-recettiva, recettiva o post recettiva. Questo esame è stato convalidato solo per i cicli effettuati con terapia ormonale sostitutiva, non è quindi necessario in caso di cicli naturali o dopo una FIVET in corrispondenza della quale le condizioni ormonali non sono tenute sotto controllo; Il Dottor Olivares consiglia quindi di utilizzare questo strumento nei casi in cui è necessario lavorare con un ciclo sostitutivo, ad esempio una paziente in menopausa, nei casi in cui lo richieda la paziente perché non si hanno indicazioni.
L’EMMA è un esame che viene effettuato per misurare il microbioma cioè la quantità di lattobacilli presenti nell’endometrio e diagnosticare un eventuale disbiosi, l’ERA si effettua per indagare l’esistenza di un’eventuale endometrite cronica, sono disponibili ad oggi sufficienti informazioni per sapere che queste due condizioni possono determinare una riduzione dell’attecchimento dell’embrione, l’aspetto positivo è che è possibile effettuare dei trattamenti specifici mirati, in caso di disbiosi con probiotici vaginali in combinazione anche con probiotici per via orale, per ripristinare il giusto livello di lactobacilli che prevengono l’eventuale proliferare di altri batteri in grado di creare un ambiente non adatto per l’embrione; in caso invece di endometrite si possono utilizzare antibiotici seguiti da probiotici per ripristinare il corretto microbioma; l’esperienza dimostra che una volta effettuati i trattamenti corretti si riesce spesso ad ottenere una gravidanza evolutiva.
Molto dibattuta è stata la valutazione relativa all’influenza che la vitamina d potrebbe avere sulla percentuale di attecchimento tanto che nei due articoli che il Dottor Olivares mostra, relativi entrambi a studi effettuati nel 2014 pubblicati in due numeri successivi della stessa rivista, avevano risultati completamente diversi, dal primo sembrava risultare una relazione tra i livelli di vitamina d e l’esito della fivet, nel secondo no; è certo che la vitamina d è importante, perché una riduzione dei suoi livelli prima di avere una gravidanza, può aumentare il rischio di problemi arteriosi di preeclampsia o problemi della placenta. Il Dottor Olivares mostra poi un terzo studio americano effettuato sul trasferimento di embrioni geneticamente normali e da questo risulta non esserci alcun legame tra i livelli di vitamina d e l’esito della PMA almeno a livello di attecchimento.
Esistono diversi esami che si possono effettuare per valutare ad esempio il natural killer, la relazione tra th1 e th2, lo studio dell’LCD 138 nella biopsia endometriale, che permettono di valutare se c’è un rigetto immunologico verso l’embrione da parte della madre. L’evidenza alla quale oggi possiamo fare riferimento conferma che l’immunologia, per come la conosciamo, non può aiutarci a migliorare la percentuale di successo ed inoltre l’immunoterapia dovrebbe essere utilizzata solo nel contesto dell’investigazione e non come una terapia clinica nei pazienti che non ha mai provato in precedenza a risolvere eventuali problemi. Probabilmente gli esami immunologici che fino ad oggi si sono effettuati non indagano un problema reale, la valutazione del natural killer ad esempio non ha senso di essere effettuata perché i natural killer presenti nel sangue sono diversi da quelli presenti nell’endometrio e di conseguenza se gli esami eseguiti non sono in grado di fornire informazioni utile, l’eventuale utilizzo successivo di una terapia che non va a lavorare su un problema reale, non comporterà alcun beneficio per la paziente, a riprova di questo in alcuni articoli viene indicata la capacità che il cortisone può avere nella riduzione della percentuale di successo in alcune pazienti, inoltre è un farmaco che non si deve assumere nei primi tre mesi di gravidanza perché può causare problemi a livello embrionario. Tali farmaci devono pertanto essere prescritti ed utilizzati solo nei casi in cui è necessario.
Nello studio (multi centro, prospettivo e aleatorio) pubblicato su LANCET (rivista attendibile nel campo medico scientifico) circa cinque anni fa e che il Dr. Olivares prende come riferimento, è possibile vedere come su 702 pazienti che hanno avuto tra due e quattro fallimenti di FIVET che non hanno subito isteroscopie nei due mesi precedenti, avvalendosi di un algoritmo per bilanciare i diversi gruppi di pazienti, è possibile notare che l’isteroscopia, se non è evidenziato qualcosa di anomalo a livello ecografico non cambia la percentuale di successo ( bimbo in braccio ), questo anche in gruppi in cui emerge la presenza di qualche piccola anomalia che non sia stata riscontrata tramite l’ecografia. In conclusione, non esiste indicazione per sottoporre una paziente all’isteroscopia ai fini di un miglioramento delle probabilità di successo, nei casi in cui, tramite l’esame ecografico, non si siano evidenziate anomalie come ad esempio polipi, endometrio con difficoltà di crescita o un’anatomia della cavità non corretta.
Uno studio effettuato diversi anni fa sulle pazienti riceventi (questo permette di eliminare tutti gli eventuali problemi legati alla qualità degli embrioni trasferiti) dimostra che su circa 10000 cicli effettuati , nel caso di pazienti con problemi di obesità questo aspetto riduceva di per sé la ricettività uterina, in un ulteriore studio effettuato dalla società di riproduzione assistita, su 22000 cicli effettuati, è possibile vedere come all’aumento dell’indice di massa corporea diminuisce la percentuale di attecchimento e contestualmente aumenta il rischio di aborto. Per questo è consigliabile indirizzare i pazienti affinché mantengano un IMP corretto, inferiore a 25 o laddove non fosse possibile, mantener comunque questo valore il più basso possibile; Il professor Olivares non raccomanda comunque il trasferimento nei casi in cui tale valore superi 40, questo per evitare non solo problemi con l’esito del trattamento ma anche per le eventuali complicazioni a livello ostetrico.
Tutti gli esami di cui possiamo avvalerci per valutare la recettività endometriale il, microbioma endometriale gli esami legati all’immunologia il fumo tutte queste indagini ci possono aiutare a capire quale sia la causa del mancato attecchimento.
Esistono studi che dimostrano come il fumo riduca la recettività endometriale ad oggi inoltre è noto con certezza che la riduzione del fumo migliora in maniera immediata la percentuale di successo, una paziente incinta che sospende il fumo nel primo trimestre ha un miglior pronostico dell’esito positivo della gravidanza rispetto a chi non lo fa, è quindi consigliato smettere di fumare già prima di iniziare il percorso.
Fino ad oggi si è ritenuto che il valore del TSH nel primo trimestre di gravidanza dovrebbe essere compreso tra 2.5 e 5 e in caso fosse superiore a 2.5 potrebbe aumentare il rischio di aborto o determinare una riduzione della percentuale di attecchimento, uno studio a cui Il Dottor Olivares fa riferimento, effettuato nel 2010, sembrerebbe dimostrare che in realtà non è così, ad oggi viene comunque seguita questa indicazione anche se secondo il Dottor Olivares si dovrà tornare alle procedure seguite prima di questo studio, in base alle quali un valore del TSH inferiore a 4 è assolutamente normale e non ha bisogno di supplementi; ad oggi la paziente viene comunque indirizzata verso un endocrinologo che può valutare se è necessario rivalutare il TSH che se è superiore a 4 ha necessità che venga aggiunta una terapia con tiroxina, mentre se è compreso tra 2.5 e 4 l’endocrinologo decide se è necessaria l’aggiunta d tiroxina o se attendere l’inizio della gravidanza per rivalutare il valore di questo ormone.
Per concludere il Dottor Olivares riferisce che: obesità e fumo riducono con certezza la percentuale di attecchimento sempre e possono causare un fallimento di impianto, esami come quelli relativi al tsh, alla ricerca delle trombofilie e gli antifosfolipidici e quelli che interessano l’endometrio possono essere leggermente utili perché in casi di problemi coagulazione di origine genetica o immunologica l’uso di specifici medicinali come la cardioaspirina o eparina possono aiutare a migliorare le percentuali di attecchimento (anche se questi problemi solitamente causano più aborti che fallimenti di impianto), controllare i valori del TSH è controverso e in ogni caso correggerlo è abbastanza semplice per cui non vale la pena lavorare con la modifica di questo ormone. La biopsia dell’endometrio non è particolarmente rilevante mentre esami come Emma e ALICE per valutare il microbioma e per escludere la presenza di endometriti croniche permetteranno di correggere numerose situazioni problematiche dato che ad oggi in altre branche della medicina hanno dimostrato di essere utili. L’isteroscopia sebbene non generi problemi, ha un utilità solo in caso in cui l’ecografia ne evidenzi la necessità, lo scratching non è particolarmente utile e addirittura in casi di pazienti che non abbiano subito un doppio fallimento potrebbe addirittura ridurre la percentuale di successo, la vitamina D sulla quale le condizioni sono controverse, probabilmente perché le tecnologie che vengono utilizzate per valutarla non sono corrette, ad oggi è utile per ridurre altri problemi ma non influisce sulle probabilità di attecchimento ed infine l’immunologia, che probabilmente cambierà con il passare del tempo, ma in merito alla quale ad oggi ancora si usano esami che non forniscono informazioni valide per le eventuali terapie da seguire che abbiano un effettiva utilità.
Si parla di fallimento di impianto ogni qualvolta si effettua un trasferimento di embrioni e la paziente non riesce ad ottenere una gravidanza; ciò che è importante capire e se si tratta di un fallimento per problematiche embrionarie, uterine o dovuto ad eventuali altri problemi femminili, il Dottor Olivares illustra come nella sua esperienza si siano verificati casi di pazienti di 42 anni che avendo eseguito indagine isteroscopica, esami immunologici e dopo aver assunto eparina e cardioaspirina, con un trasferimento di uno o due embrioni in terza giornata non riescono ad ottenere la gravidanza che cercano , in questo caso si parla ovviamente di motivazioni legate a problematiche embrionarie, per poter parlare quindi di un fallimento di impianto dovuto a problematiche uterine e richiedere l’effettuazione di esami specifici, è necessario avere la massima sicurezza ottenibile, che gli embrioni che vengono trasferiti siano i migliori possibili, tale certezza si può ottenere solitamente dopo una FIVET e abitualmente con uno studio genetico poiché in linea di massima, raggiunti i 40 anni, soltanto il 20% degli embrioni risulterà geneticamente normale, a 42 anni questa percentuale si abbasserà al 15 % e a 44 scenderà al di sotto del 10%, è pertanto molto probabile che se vengono trasferiti embrioni senza che sia stata effettuata una valutazione delle caratteristiche genetiche, il problema principale sarà da imputare ad una causa di natura genetica; prima quindi di effettuare tutta una serie di esami per indagare altri aspetti, è necessario appurare che la qualità embrionaria sia corretta.
Tutte le pazienti che si sottopongono a questo tipo di trattamento, sono soggette a stress in particolar modo nei giorni precedenti all’esecuzione del test di gravidanza, ad oggi esistono studi che riscontrano l’esistenza di pazienti in cui sono presenti recettori di catecolamina e cortisone a livello endometriale, quando i valori di queste sostanze sono alti, in queste paziente può succedere che questo possa ridurre la percentuale di attecchimento. Probabilmente in futuro esisterà un esame grazie al quale sarà possibile vedere se nelle pazienti sono presenti questi recettori e si potranno identificare quelle in cui un forte stress psicologico o una situazione non ottimale potrebbe realmente ridurre la percentuale di attecchimento e in conseguenza di questa situazione, valutare di sottoporre la paziente al trattamento in un momento in cui avrà maggiore efficacia; nel caso in cui invece questi recettori non sono presenti probabilmente non sarà necessaria una valutazione di questo tipo. Ritengo che a livello di percentuali di successo, nella maggior parte delle pazienti la condizione psicologia non sia un fattore decisivo, si deve presentare una biochimica molto particolare a livello endometriale perché questo possa influire. Le altre modifiche allo stile di vita introdotte dalla paziente invece possono sicuramente apportare un miglioramento alle percentuali di successo.
All’interno della sigaretta elettronica, sebbene non siano presenti tutte le sostanze che si trovano nella sigaretta tradizionale, è presente una percentuale di nicotina che viene utilizzata per evitare la sindrome da astinenza, questa ha un effetto vasocostrittore e in una situazione in cui l’embrione deve riuscire ad attecchire creando tutte le connessioni vascolari per poter avere successivamente un buon flusso placentario è meglio evitare sostanze come nicotina caffeina ed anche il cioccolato, che ha al suo interno altre sostanze in grado di ridurre il flusso vascolare; è consigliabile rendere la vita degli embrioni più semplice possibile.
Nelle pazienti che hanno superato i 42 anni viene fortemente consigliato di avvalersi della diagnosi genetica preimpianto, soprattutto quando si ha a disposizione un alto numero di embrioni, perché spesso si crede erroneamente che una buona riserva ovarica corrisponda automaticamente ad avere ovociti di buona qualità, purtroppo questo non corrisponde al vero, indubbiamente avere una buona riserva ovarica è positivo anche se non è automaticamente segno di una migliore qualità ovocitaria, negli studi che abbiamo effettuato si è visto che la percentuale di embrioni normali è pari al 10% sia nelle pazienti che producono 3 ovociti che in quelle che ne producono 10. Operare effettuando la diagnosi genetica pre impianto, soprattutto nelle pazienti di 42/43 anni permette di evitare di intraprendere un percorso che potrebbe vedere esiti negativi, aborti, che determinano un costo in termini emotivi ed economici, sapere prima quante blastocisti di buona qualità abbiamo a disposizione permette di procedere con il trasferimento solo di quelle che sono geneticamente normali ed è particolarmente indicata nelle pazienti che hanno un’alta quantità di embrioni.
L’età non rileva ai fini di questi test, perché hanno lo scopo di valutare la condizione dell’ambiente endometriale. Personalmente ritengo che sia consigliabile effettuarli e talvolta ne suggeriamo l’effettuazione, prima di iniziare il trattamento specialmente quando esistono situazioni in cui sappiamo che potremmo avere un’endometrite cronica (ad esempio infiammazioni uterine, una malattia infiammatoria pelvica o una salpingite cronica) che nel 99% dei casi è asintomatica; nei casi in cui per esempio la paziente ha avuto tre aborti in conseguenza dei quali ha subito tre raschiamenti dai quali può essere derivata una contaminazione o nei casi in cui si siano verificate infezioni del liquido amniotico, consigliamo di fare un Emma/ALICE anche prima di iniziare il percorso; in caso contrario lo suggeriamo di fronte ad un fallimento di impianto, dopo aver trasferito due embrioni di qualità morfologica in pazienti giovani o in caso di ovodonazione, o dopo uno studio genetico nelle donne che abbiano superato i 42 anni .
In caso di pipelle, scratching endometriale o raschiamento la situazione è piuttosto controversa, nelle donne che hanno avuto fallimenti di impianto sembra non esistere una correlazione tra questi e la pratica sopra elencata mentre nelle pazienti in cui il fallimento non c’è sembra invece possa determinare un peggioramento della situazione; il pipelle deve essere effettuato nel ciclo precedente al trasferimento e non in quello precedente al pick-up. Nel caso specifico immagino che la paziente dovrà fare una diagnosi genetica preimpianto, quindi effettuerà un pick-up, una biopsia con congelamento degli embrioni e una volta avuto l’esito dello studio genetico procederà al trasferimento; in questo caso farlo prima del pick-up non cambia niente perché non cambia la qualità degli ovociti, se alla fine avrà embrioni geneticamente normali si potrà procedere a farlo circa una settimana prima di avere il ciclo per avere un effetto di stimolazione pro infiammatoria nel ciclo in cui si farà il trasferimento.
La presenza del polipo non è particolarmente preoccupante soprattutto se questo era posizionato vicino alle tube perché può verificarsi uno spostamento dell’epitelio delle tube che può raggiungere anche la cavità uterina. Per quanto riguarda gli embrioni in terza giornata la problematica è sempre la stessa , non abbiamo informazioni sufficienti; i giorni più critici per l’embrione sono dal terzo al quinto , nel terzo giorno avviene l’attivazione del DNA, è il momento in cui l’embrione diventa una struttura indipendente mentre per i primi tre giorni vive di quello che ottiene dall’ovocita; trasferendo in terza giornata non sappiamo ancora se questi embrioni sono davvero diventate blastocisti, considerando l’età della paziente dovrebbe avere una percentuale pari a circa il 60/65%. Si potrebbe valutare di indagare da un punto di vista della coagulazione effettuando uno studio di trombofilia o uno studio anti-fosfolipidico per capire se sia necessario integrare con eparina e cardioaspirina, non si procederà certamente ad iniziare terapie la cui necessità non sia evidente, alle volte è solo necessario ripetere la procedura poiché sappiamo che i cicli non hanno una garanzia di successo del 100% e in un ciclo in cui otteniamo due o tre blastocisti ci sarà comunque una percentuale pari al 15% di pazienti che statisticamente dovrà solamente ripetere la procedura.
Forse sarebbe più opportuno indagare sotto il profilo genetico poiché le cause principali relative al fallimento di impianto sono quelle di tipo embrionario, il fatto che la paziente abbia 37 anni non significa che sicuramente gli embrioni saranno normali, inoltre da un punto di vista genetico non si deve sottovalutare il fattore maschile che può aumentare il rischio di problematiche in questa sfera, talvolta ci possono essere pazienti che hanno una percentuale di spermatozoi con anomalie genetiche più alta di quella della popolazione generale e questo può determinare un aumento dell’incidenza delle anomalie a livello embrionario. Dato che la paziente è comunque rimasta incinta (anche se questo può accadere anche ad una paziente con un Emma patologico), suggerirei di procedere con un’indagine genetica dei gameti, specificamente quello maschile che è più facile da indagare rispetto all’ovocita, una volta effettuato questo studio, se la genetica dell’uomo è normale, procederei con una FIVET con diagnosi genetica preimpianto, per vedere quanti embrioni sono geneticamente normali, se abbiamo la certezza che dal lato maschile non ci sono problemi perché tutti gli esami sono normali, tutte le anomalie che si presentano deriveranno probabilmente dall’ovocita. Con una FIVET con diagnosi genetica preimpianto, una percentuale di embrioni corretta per una pazienta di 37 anni e l’esclusione del fattore genetico, qualora ci fossero ancora problemi, potrebbe essere interessante effettuare uno studio a livello endometriale per capire se esiste un problema da questo punto di vista ma non prima.
Questo tipo di esame è comunque un esame invasivo che prevede di intervenire direttamente sull’embrione prelevando alcune cellule, quello che raccomandiamo è di manipolare il minimo possibile gli embrioni e alla luce di questa indicazione, la diagnosi genetica pre impianto si indica solo quando esiste un rischio genetico alto, è pur vero che anche in una paziente di 34 anni esiste una percentuale del 15% di avere embrioni con anomalie genetiche ma questa corrisponde alla percentuale di aborto che si ha in una gravidanza naturale a quest’età, e non ritengo sia una percentuale tale da raccomandare la diagnosi genetica pre impianto.
In questi casi se siamo di fronte ad una adenomiosi cioè un’endometriosi a livello del muscolo dell’utero, questa patologia può ridurre leggermente la percentuale di attecchimento e può determinare un leggero aumento della percentuale di aborto specialmente se l’adenomiosi è alle spalle della mucosa endometriale perché in questo caso l’embrione che deve impiantarsi trova una condizione non adatta. Talvolta gli aborti possono verificarsi anche per motivazioni non di natura genetica, possono essere determinati da problematiche ovocitarie a livello mitocondriale o dei ribosomi e non siamo purtroppo in grado di diagnosticarle, un attecchimento può non verificarsi per una specifica situazione di uno specifico momento e in ginecologia in PMA purtroppo è difficile avere a modello di riferimento ogni singolo avvenimento. Mi sento di suggerire alla paziente, che comunque con le caratteristiche descritte ha ottenuto degli ottimi risultai producendo due blastocisti e avendone una buona, sicuramente di riprovare e, nel momento del transfer, per diminuire l’impatto dell’adenomiosi, effettuare una soppressione ovarica con un analogo del gene RH, utilizzare Decapeptyl 3.75, e successivamente una terapia ormonale sostitutiva, perché l’utilizzo di Decapeptyl, è stato confermato nei pazienti con adenomiosi, abbia un effetto positivo a livello di attecchimento e può ridurre il tasso di aborti.
La diagnosi genetica pre impianto ha un costo e si deve valutare bene quando effettuarla; prendiamo il caso di una paziente che si rivolge ad un centro di pma perché ha avuto in precedenza 5 aborti, in questo caso la paziente effettua una FIVET per sottoporsi alla diagnosi genetica pre impianto perché non cerca solo una gravidanza ma una gravidanza evolutiva e in questo caso la diagnosi pre impianto dovrà essere fatta anche se abbiamo un solo embrione, perché non avrebbe senso trasferire un embrione su cui non sia stata fatta una valutazione genetica in una paziente che ha già avuto 5 gravidanze che non sono terminate positivamente. Se invece abbiamo una paziente di 41/42 anni con 2 embrioni disponibili, è possibile anche non effettuarla, procedere con il trasferimento dell’embrione assumendo i medesimi rischi a cui andrebbe incontro una donna della stessa età con una gravidanza spontanea, un rischio di aborto; la scelta non dipende tanto dalla quantità di embrioni quanto dalla cartella clinica della singola paziente, si può consigliare di farla ma poi è la paziente che decide.
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